la stabilità dei farmaci

La corretta conservazione dei medicinali è importante per mantenere inalterate le loro caratteristiche per tutto il periodo di validità indicato sulla confezione in modo da garantirne la stabilità: requisito essenziale perché i farmaci possano esplicare in pieno l'attività farmacologica attesa.

Secondo la Farmacopea Italiana, "un medicamento è considerato stabile quando, in un determinato periodo di tempo, le sue proprietà essenziali non cambiano o cambiano entro limiti tollerabili, se conservato in un recipiente adatto, in condizioni definite di temperatura, di umidità e di esposizione alla luce".
Questo significa che i princìpi attivi di un medicinale non devono essere considerati stabili indefinitamente, bensì soggetti nel tempo a variazioni anche significative delle loro proprietà.
I termini di validità indicati sulle confezioni, cioè il periodo che intercorre fra la data di preparazione e quella di scadenza (mai superiore a 5 anni), manifestano la difficoltà a mantenere inalterate nel tempo le caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e farmacologiche di un medicinale: l'aspetto, la forma, le proprietà. L'indicazione della data di scadenza garantisce quindi la sicurezza e l'efficacia d'impiego.

L'arco di tempo definito come "periodo di stabilità" in pratica è il periodo che intercorre fra il momento della preparazione del farmaco e il momento in cui non soddisfa più i requisiti della F.U., perché ha perso oltre il 10 per cento della sua attività oppure perché sono cambiate le sue caratteristiche generali.

In questa discussione ci limiteremo alla sola stabilità chimico-fisica della specialità medicinale, essendo quella microbiologica assicurata da conservanti, antimicrobici e trattamenti sterilizzanti.

Per il calcolo della stabilità, è fissato un limite legale, t10, definito come il tempo necessario perché il titolo iniziale del framaco subisca una riduzione del 10%

La data di scadenza, definita da t10, si calcola facilmente noto l'ordine di reazione. Infatti, analogamente al calcolo del tempo di semivita, t½, è sufficiente porre nelle relazioni (corrispondenti alle equazioni 3, 6 e 9 discusse nella parte relativa alla cinetica):

primo ordine:

 (3)   ln C1/C2 = k t 

secondo ordine:

 (6)   reazione di secondo ordine 

ordine zero:

 (9)   c1 - c2 = k t 

la condizione C2 = 0.9 C1, che permette di calcolare il tempo necessario perché la concentrazione iniziale si riduca al 90%.

Per la determinazione dell'ordine di reazione che regola la velocità di degradazione del farmaco, vale quanto discusso nella cinetica chimica. A questo punto, sorge però il problema che non è sempre possibile lasciare un lotto di medicinali nelle normali condizioni di conservazione per verificarne la stabilità; infatti, il tempo necessario per questi esperimenti potrebbe essere piuttosto lungo (anche mesi o anni). Si ricorre così alle cosiddette prove accelerate, consistenti nel sottoporre il farmaco a temperature fino a 70 oC. Analogamente, per i farmaci che si decompongono rapidamente, ma la cui stabilità può essere assicurata da una conservazione a bassa temperatura, si ricorre a prove cinetiche condotte a temperature minori di quella ambiente. L'estrapolazione che permette di ricondurre alla temperatura ambiente i risultati ricavati alle varie temperature è effettuata con l'equazione di Arrhenius.

Se è ovvio che le previsioni di stabilità debbono essere condotte sulla specialità finita, è comunque necessario sottolineare che le previsioni formulate in base a prove accelerate, offrono una certa sicurezza di validità quanto più le preparazioni sono semplici. Infatti, la presenza di tensioattivi, conservanti, gruppi ionizzabili, ecc., può produrre effetti catalitici a temperature diverese da quella ambiente. In questi casi, è la competenza del tecnico che deve suggerire con sicurezza l'attendibilità e la riproducibilità dei risultati ottenuti. Nei casi dubbi (ad es. reazioni che modificano l'ordine cinetico con la temperatura), si deve ricorrere a prove condotte in condizioni meno drastiche, oppure a temeperatura ambiente.

note sulla data di scadenza

L'impiego dei farmaci dopo la data di scadenza comporta in generale problemi di lieve entità. Le uniche segnalazioni di effetti tossici da farmaco scaduto è stata associata all'uso di antibiotici della famiglia delle tetracicline (danno renale) e delle penicilline (aumentata probabilità di reazioni allergiche).

segnalazioneLa data di scadenza si riferisce al prodotto integro nella confezione originale. Finché la confezione è chiusa la maggior parte dei farmaci si conserva a lungo (3-5 anni) se non diveramente indicato sulla confezione. La data di scadenza è sempre indicata sulla scatola (obbligo di legge), ma non necessariamente sul contenitore interno o sul blister di alluminio. Per questo motivo i farmaci sconfezionati non devono essere mai dispensati.

La data di scadenza apposta sulla confezione non ha più valore per i farmaci multidose dopo la loro apertura. E' il caso di molti antibiotici per uso pediatrico, formulati sotto forma di granulati per migliorarne la stabilità (es. Amplital, Eritromicina, Velamox): dopo la loro ricostituzione con acqua potabile formano una sospensione che rimane stabile per un periodo non superiore a 7-10 giorni a condizione che il medicinale venga conservato in frigorifero. Prima di ogni somministrazione la preparazione così ottenuta deve essere opportunamente agitata.
Anche la liofilizzazione (disidratazione di una soluzione o sospensione sotto vuoto) è impiegata per prolungare la stabilità del principio attivo. I farmaci iniettabili da preparare al momento dell'uso miscelando la parte liofilizzata col solvente hanno una validità molto breve: la soluzione deve essere utilizzata sùbito dopo la preparazione.

A volte è sufficiente un'attenta osservazione per valutare se un farmaco non è stato conservato in modo adeguato: l'intorbidamento di una soluzione prima limpida indica una possibile alterazione o inquinamento. Tutte le preparazioni farmaceutiche sono a rischio di inquinamento. Per evitarlo, è opportuno toccarle il meno possibile, soprattutto quelle sterili come i colliri. A questi ultimi va riservata una particolare attenzione: il beccuccio del contagocce del collirio non deve mai toccare le palpebre o la superficie dell'occhio per non inquinare l'intero contenuto del flacone. Poiché la presenza di conservanti non dà la garanzia assoluta del mantenimento della sterilità dopo ripetute aperture, è consigliabile non utilizzare colliri oltre i 15 giorni dalla prima apertura del flacone. A questo riguardo, sono molto pratici i contenitori monodose (soprattutto se il collirio viene usato saltuariamente), che hanno anche il vantaggio di non avere conservanti, sostanze che in qualche caso possono risultare irritanti per l'occhio.

Pomate e supposte devono mantenere la consistenza ed il colore originali, le compresse devono essere compatte e non presentare alterazioni percepibili.

cause di instabilità dei medicinali

Molti farmaci temono l'esposizione al calore, all'umidità e alla luce.


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Marcello Guidotti, copyright 2003
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