Le forze di van der Waals si manifestano anche fra molecole non polari. La fig. 5 fornisce una spiegazione intuitiva del fenomeno.
Nel caso di due molecole separate da una certa distanza, una debole attrazione è dovuta alla struttura della legge di Coulomb: il movimento interno della nuvola elettronica e del nucleo può indurre attrazione. Questa forza è chiamata forza di van der Waals.
Come è visualizzato dal grafico qualitativo a destra, l'energia potenziale elettrostatica repulsiva, Erep, di un sistema costituito da due particelle, aumenta via via che queste si avvicinano reciprocamente; anche l'energia potenziale elettrostatica attrattiva, Eatt, aumenta, ma molto più rapidamente: all'interno del dominio in cui si manifesta l'azione di queste forze deboli, le forze di attrazione sono prevalenti su quelle repulsive se le particelle sono quasi a contatto; però, la situazione si inverte appena le particelle si allontanano e per conseguenza il sistema perde di stabilità.
Mentre le forze di tipo coulombiano hanno la stessa formulazione matematica sia per cariche omonime che discordi, le forze di London e van der Waals presentano andamenti diversi per la repulsione e per l'attrazione.
Sommando algebricamente le equazioni per le due differenti energie si ottiene l'energia potenzale elettrostatica totale per un sistema costituito da due particelle. Ciò equivale a sommare graficamente punto dopo punto le ordinate delle due curve, ottenendo la curva risultante DCBA (in nero). Per esempio, il punto P sulla curva risultante è ottenuto sommando punto a punto le ordinate dei grafici corrispondenti alle energie repulsive date dal segmento + 01 , ed attrattive date dal segmento - 02; quindi P = 01 - 02.
Per comprendere il significato della teoria DLVO - applicabile quando le forze in gioco sono di intensità confrontabile con quelle di van der Walls - è necessario fissare l'attenzione esclusivamente sulla curva risultante, piuttosto che considerare le singole energie attrattive e repulsive.
Il grafico qualitativo in alto, mostra due particelle identiche con una piccola carica uguale, disperse in un liquido in cui sono insolubili. Queste particelle vanno incontro ad una collisione a causa del moto browniano, di correnti di convezione, sedimentazione, oppure perché la dispersione è agitata.
In particolare, allorché due particelle si avvicinano l'una all'altra, le nuvole di controioni che le circondano iniziano a compenetrarsi o sovrapporsi al punto A corrispondente alla distanza da. Questo produce una netta energia repulsiva (positiva) in quanto il lavoro necessario per distorcere il doppio strato diffuso e per espellere molecole di acqua e controioni, aumenta all'avvicinarsi delle particelle. Se le particelle continuano ad avvicinarsi l'una all'altra, si raggiunge il massimo positivo (punto B). Se l'altezza della barriera di energia potenziale, B, è maggiore dell'energia cinetica delle particelle che si avvicinano, esse non supereranno la distanza db, ma si allontaneranno l'una dell'altra, rendendo la dispersione stabile. D'altra parte, se le energie cinetiche superano la barriera di energia potenziale, B, le particelle continueranno ad avvicinarsi oltre db, dove le forze di van der Waals incrementano molto più significativamente rispetto alla repulsione elettrostatica. Di conseguenza, l'energia potenziale d'interazione tende a zero e quando diventa negativa, fa sì che le particelle si riuniscano strettamente insieme.
Quando le particelle raggiungono la distanza dc, si raggiunge un minimo profondo nell'energia potenziale che corrisponde ad una struttura molto stabile nella quale le particelle aderiscono tra loro con la maggior stabilità possibile; d'altra parte, questa situazione è improbabile in quanto difficilmente le particelle disperse posseggono abbastanza energia cinetica per superare la barriera di energia potenziale B.
Qualsiasi ulteriore avvicinamento di due particelle che riduce la distanza dP comporta un rapido aumento dell'energia potenziale lungo PD in quanto le particelle solide dovrebbero compenetrarsi reciprocamente in modo da sovrapporre i loro orbitali.
Colle, paste, adesivi aiutano certamente la riparazione, e per farlo devono avere certe caratteristiche: devono essere appiccicosi, più o meno fluidi. Tuttavia, certi adesivi sono adatti per alcuni materiali e non per altri e ci sono materiali che, qualunque sia l'adesivo usato, si possono far aderire (per es. il teflon®), unicamente ricorrendo a tecnologie speciali.
Gli adesivi devono le loro proprietà all'attrazione molecolare fra le superfici dell'adesivo e del materiale al quale è applicato. In realtà, molti materiali potrebbero essere utilizzati come adesivi, sebbene siano poco efficaci. Per esempio, l'acqua allo stato liquido potrebbe servire ad incollare le cose se non fosse per la sua limitatissima resistenza agli sforzi di taglio.
La maggior parte degli adesivi sono fluidi, almeno inizialmente, in modo da garantire un contatto stretto tra l'adesivo e i materiali (che possono essere diversi) da incollare. Infatti, per permettere alle due superfici di aderire, la loro reciproca distanza deve essere a distanze dell'ordine di 10-10 m, la dimensione delle molecole. Però, la maggior parte delle superfici solide sono troppo ruvide (o irregolari, in termini molecolari) e permettono un reciproco stretto contatto solo per una piccola percentuale della loro superficie. Una colla fluida può scorrere fra le irregolarità superficiali favorendo un contatto stretto.
Un'altra ragione per la quale la maggior parte delle superfici, come i bordi dei pezzi in cui si è rotto il nostro vaso, non aderiscono per contatto diretto è che essi non sono puliti. Se entrambi fossero puliti e lisci, le superfici potrebbero aderire spontaneamente. Questa aderenza spontanea la si può osservare in strati di mica separati da poco. Ricongiungendo le loro superfici pochi secondi dopo la loro separazione, gli strati aderiscono. D'altra parte, se si attende una mezz'ora, o anche meno, l'aria e il pulviscolo contamineranno le superfici esposte impedendo l'adesione definitiva per contatto.
L'attenzione dei ricercatori si è concentrata su animali di dimensioni più significative di quelle degli insetti. Per esempio, il geco, si arrampica a secco, senza l'intervento di secrezioni adesive. Il geco sfrutta le forze di van der Waals che si instaurano tra due superfici a contatto. In particolare, l'utilizzo di queste forze è reso possibile dal fatto che le estremità delle sue zampe sono caratterizzate da milioni di peli che moltiplicando altrettante volte le deboli forze elettromagnetiche, permettono di ottenere una coesione che gli consente di sostenere il proprio peso.
Per ricondurre il meccanismo di azione delle forze di van der Waals ad un'immagine familiare, si può pensare al velcro: i microscopici peli (dimensioni circa 0,008 mm; cioé 1/10 di un capello umano) si insinuano nella superficie apparentemente liscia con la quale vengono a contatto, cosa impossibile per strutture non molecolari.
Gli studi hanno dimostrato che all'aumentare del peso dello "scalatore", diminuisce la dimensione delle superfici di contatto e aumenta il loro numero. La minor forza di ogni contatto è quindi compensata dal maggior numero di superfici e dunque il sistema adesivo nell'insieme si rafforza.
Foto a destra: struttura fibrillare dei filamenti adesivi alle estremità delle zampe del coleottero, della mosca, del ragno, del geco. La densità superficiale dei peli aumenta con il peso dell'animale ed il geco presenta la maggior densità fra tutte le specie.
foto: Max Planck Institute for Metals Research/Gorb
La foto a sx mostra un uomo ragno giocattolo aggrappato ad una superficie di vetro orizzontale. Il giocattolo (15 cm di altezza; peso 40 g) viene coperto con il nastro in microfibra imitante il gecko, che fornisce approssimatiamente una superficie di contatto di 0.5 cm2 con il vetro e una capacità di carico maggiore di 100 g . Si noti che il giocattolo è stato già riattaccato più volte su varie superici prima che questa foto fosse scattata.
H. Gao, H. Yao - Shape insensitive optimal adhesion of nanoscale fibrillar structures;
Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA, 2004, Vol. 101, no. 21, pp. 7851-7856, Early Edition, published May 17, 2004, 10.1073/pnas.0400757101
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Marcello Guidotti, copyright 2004-2008-2009-2013
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