responsabilità civile del produttore

Il produttore di qualsiasi bene, in particolare il produttore di farmaci, può essere giuridicamente chiamato a rispondere dei danni derivanti dai prodotti da lui commercializzati, sia che si tratti di danni dovuti alla non efficacia del prodotto che dai danni comunque conseguenti all'uso del prodotto stesso.

La principale suddivisione fra i diversi tipi di responsabilità del produttore è individuabile nell'esistenza o meno di un rapporto contrattuale fra l'acquirente e il produttore.


occorre sottolineare che nella compravendita di beni mobili, non è indispensabile la forma contrattuale scritta in quanto il contratto si configura dal fatto stesso che una persona vende i suoi beni ad un'altra e questa accetti di acquistarli, pagandone il corrispettivo.

responsabilità contrattuale ed extracontrattuale

Sulla base di qualsiasi rapporto intellettuale instauratosi, il produttore (v. riquadro) assume una responsabilità contrattuale prevista dall'art. 1218 del c.c.:

«Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

   sono considerati produttori:
  • chiunque partecipi al processo di produzione;
  • l'importatore del prodotto difettoso;
  • qualsiasi persona che apponga al prodotto il proprio nome, la propria marca o qualsiasi altro segno distintivo;
  • qualsiasi persona che fornisca un prodotto il cui produttore non può essere identificato.
Questo significa che il danneggiato, nell'àmbito della responsabilità contrattuale, fonda la sua azione risarcitoria sulla "presunzione di responsabilità" dell'inadempiente che per scagionarsi da tale addebito, dovrà provare che l'inadempienza è dipesa da causa indipendente dal suo comportamento.

Per quanto attiene il settore farmaceutico e parafarmaceutico, è difficilmente ipotizzabile una responsabilità contrattuale per la vendita diretta di un farmaco (o integratore o presidio medico) al consumatore (anche se può sussistere in alcuni casi: l'esitazione di preparati estemporanei o magistrali, la cattiva conservazione del prodotto, il prodotto scaduto); al contrario, tale responsabilità sarà tra il "produttore" (v. riquadro) e il consumatore. In questo caso, mancando un rapporto di contratto diretto, vale la responsabilità extracontrattuale.

responsabilità del medico

1. – Generalità. Il medico, come ogni professionista, è soggetto, nell'esercizio della propria attività, a responsabilità civile e penale. Questo vuol dire che egli risponderà in sede civile dei danni causati al paziente nell'esercizio della propria attività ed in sede penale per i reati eventualmente commessi nell'esercizio dell'attività stessa (ad es. lesioni colpose).

2. – La responsabilità civile. Nel diritto civile, la responsabilità assume tradizionalmente due forme: responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale (alla quale correntemente ci si riferisce quando si parla tout court di responsabilità civile); la prima consiste nel rispondere dei danni conseguenti all'inadempimento di un contratto; la seconda, nel rispondere dei danni conseguenti ad un fatto illecito. La prima responsabilità è regolata dagli articoli 1218 ss. Cod. civ.; la seconda dagli artt. 2043 Cod. civ.

Per quanto attiene la responsabilità medica, essa può assumere entrambe le forme e queste, spesso, ricorrono congiuntamente.

3. – La responsabilità civile per inadempimento contrattuale. Ogni qualvolta ci si rivolge al medico per richiederne i servigi, viene concluso con lo stesso un contratto che prende il nome di contratto di opera intellettuale ed è una specie del contratto d'opera regolato dagli artt. 2222 ss. Cod. civ.

Il medico, precisamente, si obbliga a compiere, a fronte di un corrispettivo, un'opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente; questa opera o servizio consiste nell'attività di cura diretta ad ottenere la guarigione del paziente.

Nel caso in cui il medico si renda inadempiente al predetto contratto, il paziente ha diritto, ai sensi dell'art. 1218 Cod. civ., di ottenere il risarcimento del danno se il debitore (cioè il medico) non prova che l'inadempimento è dovuto ad impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Nella responsabilità contrattuale, pertanto (a differenza di quanto accade nel campo della responsabilità extracontrattuale), il contraente che lamenta l'inadempimento dell'altra parte deve solo provare che si era concluso un contratto e che l'altra parte è rimasta inadempiente. Nel caso specifico, il paziente dovrà provare che si era rivolto ad un medico e che questi si è reso inadempiente alla propria obbligazione senza necessità di provare che l'inadempimento è dovuto alla colpa (negligenza, imprudenza o imperizia) del medico. Questa situazione d'acchito apparentemente sbilanciata è corretta in quanto il medico, a sua volta, potrà liberarsi dalla responsabilità solo provando che l'inadempimento è stato determinato da "impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile".

Premessa ad una equa decisione è la necessità di definire in cosa consista l'inadempimento del medico e quindi chiarire preliminarmente quale sia il contenuto e la natura dell'obbligazione che assume il medico per verificare in quali casi essa possa essere ritenuta inadempiuta.
A tal fine, bisogna precisare che l'obbligazione assunta dal medico nei confronti del proprio paziente è, come quella di ogni altro professionista intellettuale, generalmente una obbligazione riferita ai mezzi piuttiosto che al risultato. Questo significa che l'obbligazione del medico consiste nel fare tutto il possibile (mezzi) per ottenere la guarigione del paziente, senza peraltro garantirlo (risultato), allo stesso modo nel quale un avvocato ha l'obbligo di fare tutto il possibile per vincere la causa pur non potendone garantire l'esito positivo.

Dal momento che il professionista adempie alla propria obbligazione effettuando tutto il possibile per ottenere un certo risultato, anche qualora questo non sia ottenuto, il corrispettivo pattuito dovrà essere comunque onorato. Questo vale a meno che si provi una responsabilità del professionista nell'adempimento del proprio obbligo di mezzi, dimostrando che egli non ha fatto tutto il possibile (tenendo presente allo stato della migliore scienza o esperienza) per raggiungere il risultato atteso. La colpa professionale (negligenza, imperizia o imprudenza, temerarietà) deve essere pertanto valutata con riferimento all'impegno che il professionista "modello" (il cui profilo si caratterizza in conoscenze, capacità e comportamento che è lecito attendersi da qualsiasi professionista del settore) avrebbe posto in quel particolare caso e quello che è stato utilizzato nel caso concreto.

Tale criterio si trae dall'art. 1176 co. 2° Cod. civ. secondo il quale nell'adempimento delle obbligazione relative ad una attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata (art. 11762 Cod. civ.).

A questa regola si aggiunge un'altra, prevista dall'art. 2236 Cod. civ., secondo la quale nel caso in cui la prestazione del professionista implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera intellettuale risponde dei danni solo per dolo o colpa grave (vengono, cioè, escluse la colpa lieve e quella lievissima).

Ciò premesso, facendo applicazione delle regole di responsabilità sopra indicate (artt. 1218, 1176 e 2236 Cod. civ.), in caso di mancato raggiungimento del risultato (guarigione) cui l'attività del medico è preordinata, il paziente (o, in caso di morte, i suoi eredi che agiscano per il risarcimento dei danni) dovrà provare l'inadempimento e cioè che il medico non ha posto nella propria attività la diligenza del c.d. agente modello e cioè la diligenza richiesta dalla natura dell'attività svolta e consentita dallo stato dell'arte.

La prova della mancanza di diligenza può apparire elusiva, però la Corte di Cassazione ha stabilito da tempo l'importante principio secondo il quale la stessa mancanza di risultato può essere considerata come un indizio dell'inadempimento del medico: come detto sopra, il paziente (o i suoi eredi) deve solo provare che si era concluso un contratto e che l'altra parte è rimasta inadempiente. Secondo tale principio, nel caso di interventi considerati di routine, il paziente «adempie l'onere a suo carico provando solo che l'operazione era di facile esecuzione e che ne è derivato un risultato peggiorativo, dovendosi presumere l'inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale del chirurgo»1[DL/1] . Per adempiere un tale onere, il paziente potrà richiamarsi al dato di esperienza comune (c.d. fatto notorio che il giudice può porre a fondamento della propria decisione a norma dell’art. 1152 Cod. proc. civ.): è infatti dato di esperienza comune che un intervento di appendicite non richiede nel medico-chirurgo una particolare abilità che sia di tipo superiore alla media, dal momento che, allo stato attuale della scienza medica, si tratta di un intervento piuttosto comune.

Nel caso in cui il dato di esperienza comune non basti, il giudice si affiderà ad un perito medico-legale (cosiddetto consulente tecnico di ufficio – C.t.u.) che accerterà se l’attività richiesta al medico era o no di facile esecuzione allo stato della scienza medica.

Una volta provato che l'intervento operatorio era di facile esecuzione e che il paziente ha conseguito un risultato peggiorativo (cioè non ha conseguito la guarigione o, addirittura, la malattia si è aggravata o una nuova si è aggiunta a quella preesistente) l'onere della prova passa al medico che, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà "fornire la prova contraria, cioè che la prestazione era stata eseguita idoneamente e l'esito peggiorativo era stato causato dal sopravvenire di un evento imprevisto ed imprevedibile oppure dalla preesistenza di una particolare con­dizione fisica del malato, non accertabile con il criterio della ordinaria diligenza professionale”[DL/2]


adattato da un articolo dell'avv. Domenico Lobuono (Foro di Trieste)
[DL/1] Cass. civ., sez. III, 11 aprile 1995, n. 4152, in Giust. civ. Mass. 1995, 807; Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1993, n. 11287, in Giust. civ. Mass. 1993, fasc. 11; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 1991 n. 977, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 2 e in Giur. it. 1991, I, 1, 1379; Cass. civ., sez. III, 16 novem­bre 1988 n. 6220, in Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 11; Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 1978 n. 6141, in Arch. civ. 1979, 335 e in Foro it. 1979, 4, I; Trib. Roma 10 ottobre 1992, in Giur. it. 1993, I, 2, 337);
[DL/2] Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1993, n. 11287, in Giust. civ. Mass. 1993, fasc. 11

consenso informato

In merito alla quaestio juris del consenso informato, suscita notevole interesse una pronuncia della Suprema Corte a S.U. penali, con udienza celebratasi il 18 dicembre 2008.

Questo caso si riferisce ad una donna alla quale è stata asportata una tuba nonostante la stessa aspettava di essere sottoposta ad un semplice laparoscopia.

La questione su cui la suprema Corte a S.U. è stata chiamata a decidere, è se l'intervento chirurgico invasivo può ritenersi legittimo anche senza il consenso informato del paziente.
Il consenso informato si esplicita nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o, eventualmente, rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita anche quella terminale (Cass. Civ., Sez. III, 4 ottobre 2007, n. 21748).

Sebbene il consenso del paziente assuma un ruolo rilevante, ciò non implica necessariamente che l'intervento effettuato in mancanza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido possa profilare la responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, in caso di esito letale, o a titolo di lesioni volontarie. Nello specifico della pronuncia a S.U., «qualora l'intervento chirurgico invasivo abbia avuto esito positivo e il medico con perizia abbia svolto il suo lavoro al fine di evitare un infausto evento, sottoponendo il paziente ad un trattamento sanitario necessario senza il suo consenso, il sanitario non è perseguibileper il reato di violenza privata o lesioni personali».

l'obbligo di risarcimento

A prescindere dalla rilevanza civile o penale dell'evento dannoso, l'obbligo di risarcimento è sancito dall'art. 2043 del c.c.:

«Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

Ovviamente l'attribuzione della responsabilità di colui che ha procurato il danno deve essere individuata con certezza e per questo si fa riferimento all'art. 2049 del c.c. (Responsabilità dei padroni e dei committenti):

«I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti».

Il farmacista, per esempio, è responsabile della corretta conservazione e custodia dei medicinali ancorché questa sia affidata ad uno o più magazzinieri. Anche il Legale Rappresentante di un'azienda è spesso chiamato a rispondere dei danni arrecati da errori dei propri dipendenti.

Tutti i casi di responsabilità extracontrattuale, sono caratterizzati da quattro elementi fondamentali:

Da questi elementi discende che la colpa extracontrattuale deve essere provata dal danneggiato. La gravità della colpa non rileva sul risarcimento in quanto anche una colpa modesta può comportarne l'obblico per intero.

osservazione
Se il danno manca, ovverosia è solo temuto, non dà séguito a risarcimento, però per il farmacista il criterio della "situazione di pericolo", che si configura per es. nella dispensazione di medicinali scaduti, erroneamente scambiati (un medicinale invece di un altro), o non ben conservati, può dar luogo comunque a denuncia o querela di parte.

L'obbligo di provare la sussistenza della colpa, ha fatto sì che i consumatori avessero difficoltà ad ottenere in giudizio il risarcimento di un danno ove questo si riferisse alla difettosità di un prodotto industriale. Per questo, nella giurisprudenza italiana è stato introdotto il principio di inversione dell'onere della prova: la colpa del produttore viene presunta e spetta a quest'ultimo dimostrare la propria non colpevolezza. Comunque, il produttore non è obbligato a rispondere dei danni causati se può dimostrare di aver impiegato la normale diligenza nella fabbricazione del prodotto difettoso e non avere quindi alcuna colpa per tale difettosità.

responsabilità oggettiva

Ispirandosi al diritto romano, nell'ordinamento giuridico italiano si è sempre applicato il principio della responsabilità extracontrattuale per colpa, o aquiliana. Al contrario, i Paesi anglosassoni hanno introdotto il criterio della responsabilità oggettiva del produttore, indipendente o meno dall'esistenza di qualsiasi colpa.

Il fondamento di tale criterio riposa sulla constatazione del fatto che, in qualsiasi tipo di sistema industriale, i prodotti possono presentare difetti di progettazione e/o di serie e, tali difetti, a volte, possono sussistere indipendentemente dal fatto che il produttore abbia impiegato ogni cautela di normale diligenza per prevenire la commercializzazione di prodotti difettosi.
D'altra parte, qualora tali prodotti difettosi procurino un danno per i consumatori, qualcuno deve necessariamente assumersi l'onere del risarcimento. Così l'introduzione della responsabilità oggettiva consiste nell'accollare tale onere al produttore (che può sempre coprirsi con una polizza assicurativa), piuttosto che al consumatore stesso o alla collettività. Ne consegue che l'onere di rispondere comunque dei propri prodotti entra a far parte del "rischio d'impresa" il cui costo viene ammortizzato (incorporandolo nel prezzo di vendita) dal produttore come qualsiasi altro rischio.

In base ai princìpi di responsabilità oggettiva, per ottenere il risarcimento di un danno, il danneggiato deve provare:

Il danneggiato dunque, non deve provare l'esistenza di alcuna colpa, essendo irrilevante il fatto che il produttore abbia impiegato l'appropriata diligenza per evitare la difettosità del prodotto.

direttiva CEE sulla responsabilità oggettiva del produttore

il gatto e la volpeIn base al dettato comunitario ed alla relativa legge italiana di recepimento, la nuova disciplina di responsabilità oggettiva si aggiunge alle norme precedenti. Risulta irrilevante l'esistenza o meno di un rapporto contrattuale fra produttore e consumatore danneggiato. Inoltre è nulla qualsiasi clausola contrattuale di esclusione o limitazione della responsabilità oggettiva nei confronti del danneggiato.

Il consumatore che subisce un danno imputabile ad un prodotto difettoso, ha facoltà di scegliere in base a quale tipo di responsabilità (aquileiana od oggettiva) attribuire l'azione per la richiesta risarcitoria. In realtà, è ovvio che il consumatore finale, dopo l'introduzione del criterio di responsabilità oggettiva, tende ad avvelersi di essa, tenuto conto delle maggiori garanzie previste e della minore complessità di prova. Il ricorso agli altri tipi di rsponsabilità, ed in particolare a quello per colpa, sarà dunque limitato ai casi in cui non sia possibile utilizzare la tutela prestata dalla responsabilità oggettiva (p. es. decadenza dei termini).

Con la direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985 (in GU L. 210 del 7.08.1995) La legislazione europea ha armonizzato le legislazioni degli Stati membri in materia di responsabilità dei prodotti al fine di garantire un alto livello di tutela del consumatore contro i danni provocati alla sua salute e ai suoi beni da un prodotto difettoso. La vittima dispone di un termine di tre anni per chiedere un risarcimento.

Campo d'applicazione: la direttiva si applica ai beni mobili che sono oggetto di una produzione industriale, sia che risultino incorporati o meno a un altro bene o a un immobile.

Salvo deroga degli Stati membri sono escluse le materie prime agricole e i prodotti della caccia che non abbiano subìto trasformazioni, nonché i prodotti messi in circolazione prima del 30 luglio 1988. La direttiva 1999/34/CE ha tuttavia apportato in un secondo momento modifiche al campo d'applicazione della direttiva 85/374/CEE (cfr. "direttiva 1999/34/CE" v. avanti).

Principio della responsabilità indipendente dalla colpa: la direttiva stabilisce il principio di responsabilità oggettiva o responsabilità indipendente dalla colpa del produttore in caso di danno causato da un difetto del suo prodotto. Nel caso in cui più persone siano responsabili per lo stesso danno la responsabilità è collettiva.

Un punto fondamentale è la definizione di produttore. Vengono considerati produttori:

Per i medicinali, essendo necessaria una A.I.C ministeriale, il produttore è il titolare dell'autorizzazione. D'altra parte, un'analoga responsabilità è attribuita a chiunque importi, a qualsiasi titolo, un prodotto da Peasi non Ue. In questo modo viene ad essere stabilita una parità effettiva, sotto il profilo concorrenziale, fra i prodotti di origine comunitaria e quelli di provenienza extra Ue.
In via sostitutiva, qualora l'importatore o il produttore non possano essere individuati (v. appresso), è chiamato a rispondere del danno anche il distributore o chi ha comunque fornito il prodotto. Questa parificazione ha lo scopo di assicurare una completa tutela del consumatore, contrastando eventuali tentativi di eludere la legge.

Sia il produttore del bene finale che i produttori degli imballaggi delle materie prime e di una qualsiasi altra parte componente rispondono in solido nei confronti del consumatore finale. Questo significa che uno qualsiasi dei produttori - come sopra definiti - può essere citato dal consumatore danneggiato e (a meno che nel corso del procedimento giudiziario venga ammessa dal Giudice una chiamata in causa dei responsabili noti) condannato a risarcire integralmente il danno al consumatore, fermo il diritto di rivalsa sugli altri produttori corresponsabili.

Onere della prova. Il danneggiato deve provare:

Nell'ambito della responsabilità assoluta prevista dalla direttiva non è quindi necessario dimostrare la negligenza o l'errore del produttore o dell'importatore.

Il carattere difettoso di un prodotto è determinato da un'alterazione delle caratteristiche di sicurezza che il pubblico può legittimamente pretendere. Queste caratteristiche si valutano in funzione di:

La messa in circolazione di un prodotto più perfezionato (per es. nuova versione o nuovo modello) non può essere presa in considerazione per quanto riguarda la determinazione del carattere difettoso del prodotto in causa.

Esonero della responsabilità del produttore: il produttore è libero da qualsiasi responsabilità qualora possa dimostrare:

La responsabilità del produttore non entra in gioco quando il danno è causato al tempo stesso da un difetto del prodotto e dall'intervento di un terzo. Tuttavia, in caso di colpa della vittima, la responsabilità del produttore potrà essere ridotta.

Danni coperti: la direttiva interessa i danni:

La direttiva non comporta restrizioni per la riparazione dei danni morali previste nelle legislazioni nazionali.
La direttiva non si applica ai danni risultanti da incidenti nucleari coperti da convenzioni internazionali ratificate dagli Stati membri.

Termine della responsabilità: la vittima dispone di un termine di tre anni per chiedere un indennizzo. Tale termine decorre dalla data in cui è risultata a conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del produttore.
La responsabilità del produttore cessa entro un termine di dieci anni a decorrere dalla data in cui il produttore ha introdotto il prodotto sul mercato. Nessuna clausola contrattuale può autorizzare il produttore a limitare la propria responsabilità nei confronti della vittima.

Le disposizioni nazionali in materia di responsabilità contrattuale ed extra contrattuale non sono interessate dalla presente direttiva, pertanto la vittima può farvi ricorso.

Clausole derogatorie: la direttiva autorizza ciascuno Stato membro a definire un limite della responsabilità globale del produttore nel caso di morte o lesione fisica causate da una serie di articoli che presentino gli stessi difetti. Questo limite non può essere inferiore a 70 milioni di euro.

Relazioni: la direttiva stabilisce che dieci anni dopo la notifica della direttiva, ovvero nel 1995, la Commissione sottoponga al Consiglio una relazione sull'incidenza per la protezione dei lavoratori e il funzionamento del mercato interno. Inoltre, ogni cinque anni la Commissione presenta un rapporto alle istituzioni europee relativo all'applicazione della direttiva ed all'occorrenza alle proposte appropriate.

Direttiva 1999/34/CE

BSE: mucca pazzaTale direttiva (L 141 in GU del 04.06.1999), emanata in séguito alla crisi della BSE ("mucca pazza") estende il campo d'applicazione della direttiva 85/374/CEE alle materie prime agricole (quali la carne, i cereali, la frutta e le verdure) e ai prodotti della caccia, eliminando ogni possibilità di deroga. Pertanto, il produttore o l'importatore è tenuto a versare un indennizzo per danni e interessi se esiste un rapporto di causa-effetto fra il danno subito e il difetto, senza che la vittima debba provare la negligenza del produttore o dell'importatore.

La direttiva contribuisce ad elevare il livello di protezione dei consumatori e a ripristinare la fiducia di questi ultimi nella sicurezza della produzione agricola, incoraggiando i produttori e gli importatori a rispettare strettamente le norme e le misure di salvaguardia applicabili e ad assumere un atteggiamento responsabile per quanto riguarda la sicurezza delle materie prime agricole.

L'ampliamento del campo d'applicazione della direttiva 85/374/CE consente inoltre di applicare il regime di responsabilità assoluta alle materie prime agricole in tutti i paesi dello Spazio economico europeo (SEE) e ciò consente di eliminare i rischi di dispersione della concorrenza nel mercato unico derivanti dalle differenze fra regimi di responsabilità applicabili alle materie prime agricole. La direttiva pone del pari termine alle difficoltà talora poste dalla determinazione della frontiera fra le materie prime agricole e i prodotti trasformati.

discussione sui limiti della responsabilità

Al fine di rendere più chiara la portata della direttiva sulla responsabilità oggettiva, sono riportate alcune situazioni esemplificative:

responsabilità del produttore

Il produttore risponde della sicurezza dei propri prodotti in conformità con la situazione delle conoscenze tecniche e scientifiche al momento in cui egli ha messo in circolazione il prodotto, nulla rilevando che in un periodo di tempo successivo lo sviluppo scientifico dimostri una difettosità del prodotto stesso.

Per esempio, si discute da tempo della pericolosità dell'uso continuato di telefoni cellulari e della possibile relazione di causalità di tumori al cervello. Stante l'attuale situazione - con discordanti modalità delle sperimentazioni (non i risultati ottenuti dalle misurazioni) - non è possibile attribuire tout-court al produttore la responsabilità oggettiva di un danno. E d'altra parte, il produttore è responsabile della commercializzazione dei soli prodotti per i quali abbia adottato tutte le garanzia di sicurezza e le avvertenze possibili dal momento in cui tale correlazione sia stata supposta.

Ovviamente, in mancanza di una definizione, è giuridicamente controverso cosa si intenda esattamente per "stato delle conoscenze scientifiche e tecniche": se si debba, cioè far riferimento alle conoscenze più diffuse e accreditate o se si debba tener conto anche di scoperte passate in sordina e considerate di rilevanza trascurabile.
In effetti, rifacendosi alla normativa per i brevetti, lo stato dell'arte sebbene mancante di una definizione puntuale, può essere individuato (con ragionamento inverso) in una sentenza di nullità del brevetto (cfr. Corte d'Appello Firenze, 29 ottobre 2001) ove la sua concessione deve essere specificamente dettagliata per quegli elementi che non fanno parte della cultura diretta dell'esperto, nel senso che quest'ultimo non deve essere costretto a particolari ricerche in letteratura. Così, a proposito di "stato delle conoscenze scientifiche e tecniche", se il prodotto non è a sua volta particolarmente innovativo, riesce difficile immaginare quale carenza di conoscenze scientifiche e tecniche possa essere portata a discarica delle proprie responsabilità.

medicinali

Per quanto attiene eventuali limiti di responsabilità, nella legislazione italiana non è presente alcun limite e quindi la responsabilità del produttore è, al momento, illimitata.
Per quanto riguarda il massimale per i danni da risarcire questo non doveva essere inferiore a 70 milioni di ecu (unità di conto europea, antecedente l'introduzione dell'euro); qualora il prodotto difettoso comporti morte o lesioni personali, la direttiva non prevede limiti minimi. Al fine di limitare il contenzioso a casi non irrilevanti, la legge nazionale ha introdotto un limite per i danni a cose diverse dal prodotto difettoso: esse sono risarcibili solo se eccedono 388 euro (750 mila lire della vecchia valuta). La normativa italiana curiosamente non impone alcun obbligo assicurativo al produttore: è responsabilità di quest'ultimo decidere se assicurarsi o meno e scegliere gli eventuali massimali assicurativi per lui più congruenti in relazione al rischio d'impresa.

Il termine di prescrizione, come da dettato comunitario, è fissto in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto, o avrebbe dovuto avere, conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile. La normativa italiana, ha introdotto la precisazione che qualora i gravi danni alla persona siano stati preceduti da sintomi di scarsa importanza, il termine per la prescrizione inizia a decorrere solo dal momento in cui detti sintomi hanno prodotto nel danneggiato manifestazioni di gravità sufficiente a giustificare l'inizio di un'azione giudiziaria. Resta comunque valida la prescrizione assoluta fissata in 10 anni dalla data di messa in circolazione del prodotto difettoso.

farmacista

"Il rivenditore è responsabile nei confronti del compratore del danno a lui cagionato da prodotto difettoso anche nel campo della vendita di prodotti industriali di massa (come i prodotti medicinali), se non fornisce la prova di aver attuato un idoneo comportamento positivo tendente a verificare lo stato e qualità della merce e a controllare in modo adeguato l'assenza di vizi, sicché risulti accertato che nel caso concreto il vizio è rimasto a lui ignoto, malgrado l'uso della normale diligenza. Ne deriva che nell'ipotesi di vendita di prodotti chiusi e sigillati la responsabilità del fornitore, per i danni prodotti per vizi della cosa venduta non può essere esclusa se questi non ha provveduto ad effettuare controlli a campione o periodici in ottemperanza agli obblighi che gli derivano dagli artt. 1476 n.3 e 1490 c.c." (Cass. Civ. Sez. II. n. 9277 del 30-08-91)

Così, per esempio qualora il farmacista si accorga di una interruzione (documentabile dall'ente erogatore) nell'alimentazione del frigorifero destinato al magazzinaggio dei farmaci che prevedono tale modalità di conservazione. Deve distrarre tali prodotti dalla vendita racchiudendoli in una scatola conservata in posto separato dagli altri prodotti.

doping

La dottrina della responsabilità oggettiva comporta, da parte degli atleti, una completa responsabilità nell'assunzione di tutte le sostanze vietate riscontrate nel loro organismo.
Secondo le regole vigenti, è la federazione che deve dimostrare l'esistenza di una violazione. Per questo è sufficiente che l'individuazione di sostanze proibite venga fatta da un laboratorio riconosciuto in grado di attribuire inequivocabilmente il campione a un determinato atleta.

Per sanzionare l'atleta è quindi irrilevante se la sostanza proibita è stata assunta intenzionalmente o per negligenza. Questo tipo di responsabilità oggettiva che prescinde da una volontà colpevole e persino dalla negligenza viene chiamata principio della «strict liability» ed è considerata come l'unico metodo efficace a sanzione del doping. Si parte dalla premessa che l'atleta, ove risulti positivo ai test del doping, sia sanzionabile in quanto ottenga in ogni caso un vantaggio rispetto a chi non ha usato sostanze proibite. In assenza di questo principio gli atleti incorsi in un risultato positivo potrebbero invocare ad es. interferenze da parte di terzi, e le federazioni dovrebbero occupare il loro tempo dando la caccia ai sabotatori.

Per tutti questi motivi è decisivo che gli atleti sappiano quanto è importante essere sicuri che i farmaci, gli integratori alimentari o qualsiasi altro preparato che assumono non contenga sostanze proibite.

la class action: un equilibrio nei rapporti di forza tra produttore e consumatore*

La class action rappresenta uno strumento utile per tutelare i diritti che sorgono a fronte della produzione, circolazione e distribuzione di prodotti industriali, compresi alimenti e medicinali (in quanto, per loro natura e diffusione nel mercato, sono prodotti suscettibili di poter provocare danni in capo a tutte le categorie sociali), perché è adatta ad equilibrare, in sede processuale, i rapporti di forza tra produttori e consumatori.

La recente giurisprudenza riconosce anche al comportamento "anticoncorrenziale", sanzionato dall'antitrust, natura plurioffensiva tale da incidere sui patrimoni dei consumatori o utenti, che pertanto sono legittimati ad agire per far valere diritti risarcitori o restitutori.

Le azioni collettive (il cui evidente vantaggio si ravvisa nel facilitare l'accesso alla giustizia, poiché ripartendo le spese processuali fra più individui, si rende l'azione economicamente sostenibile) svolgono un ruolo molto importante per il risarcimento di danni causati da prodotti difettosi e fondate sulla responsabilità civile dei produttori. Il regime di responsabilità oggettiva è stato introdotto in Europa nel 1985, ma raramente vi si fa ricorso giacché sono notevoli le differenze con gli Usa dove le azioni collettive per risarcimento di danni causati da prodotti difettosi e fondate sulla responsabilità civile dei produttori rivestono un ruolo rilevante che copre un'ampia categoria di incidenti: dalle contaminazioni con amianto ai danni prodotti da farmaci, dalle trasfusioni con sangue infetto alle esplosioni di contenitori. La loro popolarità è cresciuta fino al punto di ispirare alcuni romanzi e film (Class Action, 1991; Erin Brockovich, 2000), la cui trama si fonda su risarcimenti milionari.
Oltre al facilitare l'accesso alla giustizia, è evidente un altro beneficio derivante da una class action: è infatti ovvio che più alto è il numero di consumatori che agisce per il medesimo danno, più aumenta la plausibilità del nesso di causalità che si presenta come una vera e propria prova statistica che, ancorata all'elemento della fabbricazione e produzione in condizioni omogenee, rende gli indici di prova rilevanti, precisi e concordanti.

osservazionePer quanto attiene i prodotti alimentari - escludendo i casi più eclatanti -, sussiste generalmente una oggettiva difficoltà nel dimostrare il nesso causale tra il consumo dell'alimento e l'evento dannoso (d'altra parte, sollevare i consumatori dall'onere di provare i fatti limiterebbe gravemente il diritto alla difesa dell'impresa convenuta); Infatti, la prova dell'acquisto, è spesso poco o niente documentata, e così anche la prova del nesso di causalità tra evento lesivo e danno, in quanto le conseguenze deleterie dell'assunzione di un alimento possono manifestarsi a distanza, o necessitare di un parere medico che appuri il collegamento tra il danno alla salute e il consumo dell'alimento. Per il medicinale, al contrario, le segnalazioni di farmacoviglianza, le prescrizioni mediche, i referti clinici rendono più agevole la dimostrazione del nesso di causalità.

la class action Usa e la class action UE

class actionNegli Usa, a partire dagli anni '60, dopo l'introduzione del regime di responsabilità oggettiva del produttore - secondo il quale la vittima non deve più dimostrare il comportamento colposo del fabbricante -, è stata introdotta la class action (disciplinata, in via generale, dalla Federal Rule 23; tuttavia, ciascuno Stato, nel rispetto della normativa federale, può in ogni caso adottare una propria versione) ha avuto una larga diffusione. In questi casi, per dar luogo ad un indennizzo, è generalmente sufficiente la prova del danno e del difetto, possibilmente integrata dimostrando il loro legame causale. Si ritiene che la responsabilità oggettiva sia più efficiente rispetto alla responsabilità per colpa (soggettiva), e questo dovrebbe indurre le imprese a comprendere nei loro prodotti i costi degli incidenti (scaricandoli sui prezzi); per conseguenza, si dovrebbe ottenere una riduzione della attività rischiose in quanto il mercato non può accettare prezzi troppo elevati. Tuttavia, la diffusione dei procedimenti legali, unita alla crescita esponenziale dei risarcimenti ha provocato il fallimento del mercato di alcuni prodotti e ridotto la copertura assicurativa accordata alle imprese.

Nel 1985, con la direttiva 85/187, fu introdotto anche in Europa il regime di responsabilità oggettiva. Sebbene l'esperienza statunitense fosse fonte di preoccipazioni per la comunità industriale, la direttiva non ha prodotto il paventato incremento dei risarcimenti, né una distorsioni dei mercati.

E' del tutto naturale chiedersi il motivo del limitato effetto della direttiva in Europa. La risposta può individuarsi nelle notevoli differenze fra Europa e Stati Uniti per quanto riguarda l'entità dei risarcimenti e le modalità con cui possono essere liquidati; il regime di responsabilità oggettiva del produttore; le garanzie offerte dallo Stato sociale e il costo di accesso alla giustizia.

segnalazione danni
Codice del Consumo
[omissis]
Art. 140 bis

1. I diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 sono tutelabili anche attraverso l'azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

2. L'azione tutela:

  1. i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
  2. i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
  3. i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
[omissis]

Un ulteriore limite della direttiva europea, come è chiaro dall'art. 140 bis (Codice del consumo) è che la class action non costituisce uno strumento per ottenere - come avviene per gli Usa - risarcimenti per inquinamento ambientale, danni da amianto o danni da farmaco... sembra che le lobby europee siano più efficaci di quelle oltre oceano.

*ripreso, aggiornato e adattato per questo sito da: "Class Action: un'analisi comparativa fra sistema americano e sistema italiano" di avv. Enrico Vallarolo (Foro di Torino)


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