DIRITTO

1. Tutta la controversia si incentra sull'interpretazione dell'articolo 7 del D.L. 347/2001 che, nel quadro generale di contenimento della spesa farmaceutica, ha dettato criteri per limitare la rimborsabilità dei farmaci cosiddetti "generici".

Come ampiamente ricordato nella sentenza impugnata, il citato articolo 7 costituisce solo l'ultimo capitolo di un intervento normativo che, a partire dalle legge 537 del 24 dicembre 1993, si è preoccupato di riportare la spesa farmaceutica a livelli compatibili con le risorse finanziarie disponibili e, dall'altro, a tutelare il diritto alla salute.

Il primo intervento legislativo diretto sul prezzo dei farmaci è contenuto nell’articolo 85, c. 26 della legge 22 dicembre 2000, n. 388, per cui: "A decorrere dal 1º luglio 2001, i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in princìpi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale fino a concorrenza del prezzo medio ponderato dei medicinali aventi prezzo non superiore a quello massimo attribuibile al generico secondo la legislazione vigente. Ai fini del presente comma sono considerate equivalenti tutte le forme farmaceutiche solide orali. Qualora il medico prescriva un medicinale avente prezzo maggiore del prezzo rimborsabile dal Servizio sanitario nazionale ai sensi del presente comma, la differenza fra i due prezzi è a carico dell'assistito; il medico è, in tale caso, tenuto ad informare il paziente circa la disponibilità di medicinali integralmente rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale e della loro bioequivalenza con la specialità medicinale prescritta".

Tale disposizione, che costituisce il precedente immediato della disposizione che ne interessa ai fini del presente giudizio, presenta una caratteristica che non si ritrova nelle norme successive. Essa infatti si preoccupa di affermare che "ai fini del presente comma sono considerate equivalenti tutte le forme farmaceutiche solide orali". La notazione assume rilievo perché, essendo stata eliminata nelle successive versioni qualsiasi ricognizione legislativa di equivalenza, essa è rimasta tutta affidata all’amministrazione sanitaria.

L'art. 7 d.l. 347/2001, che, in ordine di tempo, è la disposizione immediatamente successiva a quella sopra ricordata, riprende la medesima previsione modificando le modalità di individuazione del prezzo, ragguagliato non più al prezzo medio ponderato, ma a quello del corrispondente farmaco generico disponibile nel normale ciclo distributivo regionale; il rinvio alla legislazione vigente, che viene sostituito dal rinvio ad apposite direttive regionali.

All'epoca in cui è stato notificato il ricorso tale disposizione era già stata parzialmente modificata dall’articolo 9, c. 5 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2002, n. 178, con gli effetti di cui si dirà in seguito (v. punto 2 - NdR).

Il rimborso dei medicinali poteva pertanto essere ridotto fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile nel normale ciclo distributivo regionale solo ove i medicinali stessi assolvessero alle seguenti condizioni:

  1. non fossero coperti da brevetto (ma non si specificava il tipo del brevetto);
  2. avessero uguale composizione in princìpi attivi, in forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali
osservazioneFin dall'inizio la CUF ha ritenuto che l'unica copertura brevettuale rilevante ai fini dell'esenzione dei medicinali dalla riduzione fosse il brevetto sul principio attivo in quanto solo questo garantisce l'esistenza di un "prodotto innovatore". La Cuf riteneva che "la semplice esistenza di un qualsiasi brevetto, diverso dal precedente, non costituisce, sul piano scientifico e regolatorio, un sufficiente fattore di discriminazione tra i prodotti medicinali a meno che non sia dimostrato e adeguatamente documentato che le caratteristiche coperte da brevetto siano clinicamente rilevanti al punto da conferire al medicinale un proprio originale profilo di sicurezza e di efficacia tale, quindi, da configurarlo prodotto innovatore".

Definiva inoltre la specialità medicinale come il prodotto autorizzato sulla base di un dossier completo (comprensivo dei risultati sperimentali) e il medicinale generico come il prodotto medicinale non esclusivo e intercambiabile.

Sulla base di tali indicazioni che l'Amministrazione recepiva integralmente, venivano adottati gli atti impugnati (dalla SANOFI-SYNTHELABO), che escludono la rilevanza dei brevetti cosiddetti di "processo" ai fini dell'individuazione dei farmaci soggetti alla riduzione del prezzo. In questa operazione veniva completamente ignorata la considerazione sopra sottolineata relativa alla possibilità che un medicinale protetto da un brevetto di processo possa essere considerato un prodotto innovatore.

La Società appellante contesta tale interpretazione che ritiene in contrasto con la disciplina recata dall’articolo 7 nella versione originaria e in quella modificata il quale, indipendentemente dal valore che si voglia attribuire al riferimento alla copertura brevettuale, indica altre condizioni in assenza delle quali non è possibile ricondurre il medicinale al concetto di "generico".

Al fine di valutare tale censura è necessario vedere preliminarmente se, al di là delle definizioni date dalla CUF, esistano nell'ordinamento vigente definizioni dei termini "medicinale" e "generico".

L'art. 1, commi 1, 2 e 3 Dlgs. 29 maggio 1991, n. 178 (recepimento di direttive CEE in materia di farmaci) così distingue tra medicinali, sostanze e specialità medicinali:
  1. Ai fini del presente decreto è da intendersi come medicinale ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali, nonché ogni sostanza o composizione da somministrare all'uomo o all'animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell'uomo o dell'animale.
  2. Per sostanza si intende qualsiasi materia di origine umana o animale o vegetale, o di origine chimica, sia naturale che di trasformazione o di sintesi.
  3. Sono specialità medicinali i medicinali precedentemente preparati ed immessi in commercio con una denominazione speciale ed in confezione particolare.

L'articolo 7 del D.L. 347/01 si riferisce ai medicinali e non alle sostanze e alle specialità medicinali, circostanza che sembra ignorata dal parere della CUF e che può assumere un importante rilievo laddove la stessa sostanza, o principio attivo, combinata con un altro principio attivo, con un eccipiente o con un conservante piuttosto che con un altro, abbia efficacia documentatamente diversa rispetto alla medesima patologia.

l'articolo 1, comma 3, della legge n. 425/1996, che ha sostituito il comma 130 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 definisce il medicinale generico: "Il Ministero della sanità autorizza, su domanda, l'immissione in commercio, quali generici, dei medicinali così come definiti dall'art. 1, comma 1, del D.Lgs. 29 maggio 1991, n. 178, a base di uno o più princìpi attivi, prodotti industrialmente, non protetti da brevetto o dal certificato protettivo complementare di cui alla L. 19 ottobre 1991, n. 349, e al regolamento CEE n. 1768/1992 e identificati dalla denominazione comune internazionale (DCI) del princìpio attivo o, in mancanza di questa, dalla denominazione scientifica del medicinale, seguita dal nome del titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio, che siano bioequivalenti rispetto a una specialità medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in princìpi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche".

Anche tale disposizione non chiarisce se il brevetto cui si riferisce sia quello di "prodotto" o quello di "procedimento", ma il riferimento alla legge 349/1991, che per il certificato protettivo complementare non distingue tra l'una e l'altra categoria induce a ritenere che il termine "brevetto" sia utilizzato nella disposizione citata secondo il significato assunto dal R.D. 29 giugno 1939, n. 1127 che, all'articolo 1, dà del brevetto una definizione unitaria. Tale conclusione è rafforzata dall'ultima parte della disposizione che parla di "bioequivalenza rispetto a una specialità medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche". Dal che può dedursi, per converso, che non è generico il medicinale a diversa composizione, con diversa forma farmaceutica e con diverse indicazioni terapeutiche.

Tale formula differisce però chiaramente da quella dell'articolo 7 del DL 347/2001 in quanto il riferimento alle "stesse indicazioni terapeutiche" è in esso sostituito da quelli alla "via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie". La differenza dipende essenzialmente dall'angolo prospettico dal quale è riguardato il medicinale: l'articolo 7 dà prevalenza alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche del medicinale, mentre la legge del 1995 ha riguardo alla sua efficacia. Non può pertanto dirsi che la definizione di medicinale equivalente adottata dall’articolo 7 coincida perfettamente con quella di medicinale generico data dalla legge del 1995.

2. Dall'esposizione che precede possono trarsi alcune conclusioni preliminari.

osservazioneSe il legislatore avesse voluto esentare dalla norma sulla riduzione del rimborso tutti i medicinali coperti da qualsiasi tipo di brevetto non avrebbe elencato le condizioni di equivalenza richieste per l'esenzione, ma si sarebbe limitato da un lato al rinvio alla disciplina dei brevetti e dall'altro al rinvio alla definizione normativa di medicinale generico.

L'articolo 7, invece, nella sua versione originaria, si discosta, ai soli fini del rimborso, dalla definizione di medicinale generico, quale codificata dalla legge del 1995 e considera "equivalenti" tutti i farmaci aventi uguale composizione in principi attivi, forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali e non coperti da brevetto su tali princìpi. La conferma di questa interpretazione è stata data dal DL 8 luglio 2002, n. 138, che all'articolo 9, comma 5, ha modificato l'articolo 7 spostando alla fine, in una frase separata da un punto e virgola, l'esenzione per i farmaci coperti da brevetto sul principio attivo. Non sussistono peraltro dubbi che tale disposizione abbia carattere interpretativo, alla luce di tutti gli interventi della CUF e dell'amministrazione tra l'entrata in vigore del primo DL e quella della sua modifica.

Dalla nuova versione dell'articolo 7 (successiva al ricorso - NdR), ne discende che l'interpretazione data dalla CUF all'articolo 7 del DL 347/2001 deve essere condivisa quando afferma che, ai fini del rimborso, rileva di per sé soltanto la copertura data dal brevetto sul principio attivo, restando del tutto indifferente che il medicinale sia protetto da altro brevetto di "processo".

Questa impostazione non vìola peraltro la tutela brevettuale, che non è toccata dalle disposizioni relative al rimborso della spesa farmaceutica (l'Amministrazione può liberamente decidere in merito - NdR), e che consiste nel poter produrre e commercializzare in esclusiva il medicinale. Si tratta di una scelta di politica legislativa insindacabile, legata alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, che non intacca la tutela Costituzionale della salute se interpretata nel senso che di dirà in prosieguo, divenendo solo uno strumento per incentivare l'uso appropriato dei farmaci.

3. Erra, invece la CUF, ed insieme ad essa l'Amministrazione, quando ritiene, in linea assoluta, che tutti i medicinali diversi da quelli protetti dal brevetto sul principio attivo debbano essere necessariamente soggetti al regime del rimborso parziale. L'articolo 7, infatti, elenca una serie di condizioni di equivalenza in mancanza delle quali il rimborso è dovuto per intero.
Condizioni che, peraltro, se non possono essere identificate col mero possesso di un brevetto di processo, non richiamato dalla disposizione, debbono però essere valutate in relazione al singolo farmaco non solo in se stesse, ma con riferimento ad una possibile diversa efficacia terapeutica.

L'articolo 7 deve infatti essere interpretato secondo la sua propria ratio, secondo ragionevolezza e alla luce dei princìpi costituzionali che presiedono alla tutela della salute.

La ratio è senza dubbio quella del contenimento della spesa farmaceutica, siccome affermato dall'amministrazione e ricordato dalla stessa appellante e, con tale premessa sarebbe del tutto irragionevole –come esattamente sottolineato dalla pronuncia di primo grado- interpretare la norma ad esempio nel senso che lo stesso medicinale, solo perché commercializzato in confezioni diverse, o con blister più o meno capienti, fosse rimborsato per intero, anche se avente identica efficacia di altro medicinale di minor prezzo già in commercio; così come sarebbe del tutto irragionevole che per una patologia che non ha specifico bisogno del medicinale a lento rilascio, di minore costo, fosse consentito rimborsare integralmente anche quello a lento rilascio.

Sarebbe però anche del tutto irragionevole e contrasterebbe con la tutela del diritto alla salute, che fosse impedito il pieno rimborso di un medicinale a lento rilascio laddove questo è l’unico che risponda pienamente alle esigenze derivanti dalla patologia diagnosticata.

Ne consegue che le equivalenze individuate dalla prima parte del comma 1 dell’articolo 7 debbono sempre essere rapportate alla patologia specifica e che lo stesso farmaco può essere rimborsato integralmente o meno a seconda che, rispetto a certe patologie, si atteggi come farmaco indispensabile o come farmaco fungibile con altri.

4. Bisogna ora verificare se l'inclusione nell'elenco dei medicinali solo parzialmente rimborsabili, che dovrebbe essere redatto, a norma della legge 388/2000, sulla base delle bioequivalenze, ma che è stato definito dallo Stesso Ministero come "elenco dei medicinali non coperti da brevetto" (G.U. n. 38 del 14 febbraio 2002, pag. 75) contravviene di per sé alle conclusioni finora raggiunte.

Alla luce di quanto finora approfondito la risposta non può che essere affermativa.

L'elenco dei medicinali non coperti da brevetto non può infatti da solo dare attuazione ad una disposizione che impone, oltre all’accertamento dell'esistenza del brevetto, anche quella delle equivalenze di cui al primo comma dell’articolo 7, sia pure interpretate alla luce della efficacia terapeutica del medicinale.

Delle due l'una: o la prima parte del comma 1 dell'articolo 7 non ha significato e può quindi essere ignorata, o ha un significato e ad esso deve corrispondere un'attività amministrativa.

In realtà si deve dire che in se stessa l'inclusione nell'elenco dei medicinali non coperti da brevetto non costituirebbe una presunzione assoluta di fungibilità e non contravverrebbe pertanto alla previsione del primo comma dell’articolo 7 se fosse lasciata al medico la valutazione della fungibilità del farmaco senza richiedere al malato la differenza di prezzo. In tal caso, infatti la specificità del farmaco, in relazione alla specifica patologia, sarebbe recuperata con una personalizzazione che garantirebbe appieno la tutela del diritto alla salute.

Così però non è perché l’ultimo comma dell’articolo 7 impone al farmacista che sia richiesto dal medico di fornire un medicinale solo parzialmente rimborsabile di esigere la differenza di prezzo a prescindere dall’indispensabilità del farmaco.

5. Dal punto di vista del diritto alla salute è del tutto indifferente che il farmaco sia o meno protetto da brevetto sul principio attivo se è comunque il migliore farmaco per affrontare e risolvere la patologia. La disposizione di cui all’articolo 7 tiene conto di tale esigenza e fa espresso riferimento alle possibili diversità dei medicinali che, come sopra detto, debbono essere valutate con riferimento alle diverse patologie per valutare le equivalenze. L'interpretazione propugnata dalla CUF può risolversi in una ingiustificata discriminazione di determinate categorie di pazienti che necessitano di un farmaco che abbia particolari caratteristiche come, ad esempio, un lento rilascio delle sostanze che lo compongono e che non possono servirsi con la stessa efficacia di un farmaco che tali caratteristiche non abbia.

Nel caso in esame la Casa farmaceutica ha rappresentato che i farmaci da essa prodotti e distribuiti hanno caratteristiche che li rendono diversi dagli altri in commercio in quanto sono a lento rilascio. L'Amministrazione non ha negato questa caratteristica, e si è limitata ad affermare che l'esistenza di un brevetto di "processo" non giustifica il rimborso pieno alla luce dell'articolo 7 del DL 347/2001, che fa salvi solo i medicinali coperti da brevetto sul principio attivo. Di più. L'Amministrazione non ha opposto all'appellante che esistono altri farmaci che abbiano le stesse modalità di rilascio e quindi possano considerarsi equivalenti.

Ne consegue che il paziente che abbisogna del farmaco a lento rilascio dovrà affrontare la spesa per la differenza di prezzo rispetto al farmaco generico, che però, in contrasto con quanto previsto dall'articolo 7, comma 1, non può dirsi eguale (equivalente).

L'elenco predisposto dal Ministero della sanità è pertanto incompleto e si pone in contrasto con la previsione di cui al primo comma dell'articolo 7 del D.L. 347/2001 in quanto non prevede, per i farmaci non coperti da brevetto sul principio attivo, una valutazione delle caratteristiche ivi elencate con riferimento alle diverse patologie.

In questo senso l'appello deve essere accolto e si deve ritenere che l'inclusione nell'elenco dei farmaci oggetto del giudizio con riferimento indistinto a tutte le patologie è illegittima. Fermo restando il potere dell'Amministrazione di formulare il suddetto giudizio di equivalenza, in assenza del quale il medicinale che si distingua dagli altri per uno degli elementi contemplati nel primo comma dell'articolo 7 dovrà essere integralmente rimborsato.

In Roma, addì 2 marzo 2004, il Consiglio di Stato (presidente Gaetano Trotta) in sede giurisdizionale, Sezione IV, ha accolto l'appello.