giurisprudenza

Di séguito sono riportate, in ordine cronologico, alcune sentenze volte a chiarire e sottolineare alcuni aspetti principalmente legati alla vendita di piante e prodotti erboristici effettuata da erborista diplomato o da farmacista in farmacia. La sentenze ante 1991, appaiono piuttosto contraddittorie e rivelano l'inorganicità e l'incompletezza del quadro normativo. Dopo il 1991, con il Dlgs 178/91 che ha introdotto una precisa definizione di medicinale, la giurisprudenza è meno imprevedibile.

Prima del 1988, in Italia era prevista la figura del pretore: un organo monocratico (in quanto la giurisdizione era esercitata da un magistrato unico e non da un collegio) al quale era affidata la giurisdizione in materia civile e penale (oltre a compiti marginali di carattere amministrativo e volontaria giurisdizione; per esempio, rispettivamente: i giudizi in tema di opposizione avverso sanzioni amministrative; i provvedimenti che il pretore doveva assumere in veste di giudice tutelare).
Il decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51, a far data dal 2 giugno 1999 per tutti i processi civili e dal 2 gennaio 2000 per tutti i processi penali, ha disposto la soppressione di tale organo, sostituendolo con il giudice unico di primo grado, il quale decide monocraticamente, escluse alcune ipotesi in cui è tassativamente prevista la composizione collegiale.

Pretura di Torino - sentenza del 26-6-1982

L'erborista, nell'àmbito che gli compete, può vendere estratti o erbe che hanno anche proprietà terapeutiche. Ciò che non gli è consentito è vendere tali sostanze vantandone le proprietà, e a forma e dose di medicamento, intendendo per dose "quella che si smaltisce in una determinata e appropriata quantità per servire alla persona che ne ha bisogno e per forma l'adattamento del medicinale alle condizioni necessarie per servire allo scopo senza che occorra sottoporlo a combinazione o preparazione chimica o farmaceutica per somministrarlo".

Questa sentenza è sorprendente. Il magistrato, infatti, oltre a dare un'interpretazione di una legge ("che hanno anche proprietà terapeutiche"), ha sviluppato la decisione in modo da produrre un paradosso: un prodotto a base di erbe o suoi estratto, anche capace di attività terapeutica, può essere esitato purché non lo si prepari in forma e dose di medicamento. Si può ritenere che la classificazione data dal RD 1931 sia obsoleta, oppure imprecisa; tuttavia opera all'interno di una legge non abrogata o modificata. Non può avere efficacia una sentenza che regoli difformemente una materia già sottoposta a disciplina legislativa.

La definizione di dose e forma di medicamento è quella presente all'art. 122 del T.U. delle leggi sanitarie (R.D. n. 1265 del 1934); è una definizione obsoleta: la definizione di medicinale è posteriore ed è riportata nel DLgs n. 178 del 29 maggio 1991 (successivamente modificata).

martelletto del giudice

TAR Emilia Romagna - Bologna decisione n. 279 del 14-7-1984

Nelle erboristerie possono essere vendute piante anche medicinali e loro prodotti purché per impieghi diversi da quelli terapeutici, cioè per uso domestico, per alimentazione, per correzione organolettica dei cibi, talvolta in grado di operare interventi favorenti le funzioni fisiologiche dell'organismo, ma ritenute comunque innocue.

In questo caso, la decisione - precisando la sentenza della Pretura di Torino - ha richiamato il punto 4 della circolare Aniasi del Ministero della Sanità.

martelletto del giudice

Tribunale di Bassano del Grappa - Appello - decisione del 19-1-1984

Il magistrato ha prosciolto un erborista dal reato di abuso della professione medica motivando la sua condotta analoga alla presenza di tanti suggerimenti e consigli terapeutici e medici riportati dalla stampa.

La sentenza ha rigettato una precedente sentenza pretorile la quale aveva riconosciuto un erborista colpevole del reato di esercizio abusivo della professione medica in quanto aveva consegnato ai clienti alcuni ciclostilati che indicavano le terapie per certe malattie e suggerivano le dosi da assumere.

martelletto del giudice

Pretura di Cles (TN) - sentenza n. 40 del 24-5-1985

"esercita abusivamente la professione di medico e farmacista il titolare di un esercizio di erboristeria che sulla base di ricetta medica prepari una pomata per la cura di uno stato di malattia consigliando al paziente dosi e posologia".

"è irrilevante sotto il profilo penale la elencazione delle piante officinali di cui alla circolare n. 1 del 1981 del Ministero della Sanità in quanto, da un lato, esemplificativa e, dall'altro, contenuta in un provvedimento (circolare) teleologicamente ed istituzionalmente diretto agli organi interni e decentrati della stessa amministrazione emanante e di per sé ostativa ad una provante efficacia nel campo penale".

Questa sentenza, che contrasta con le precedenti (procura di Torino, Tar Emilia-Romagna), è in accordo con la legge. In particolare, viene contestato il reato di esercizio abusivo della professione medica e farmacista; nello specifico, solo quest'ultimo e solo in farmacia è autorizzato a preparare - dietro presentazione di ricetta medica - formulazioni galeniche non estemporanee (cfr. Cass. sentenza n. 34200 del 2007 in fondo pagina).

Inoltre, viene precisato che l'inclusione di una pianta in una tabella allegata ad una circolare ministeriale non conferisce carattere di medicamento alla pianta stessa. Dunque, indipendentemente dalla presentazione di una ricetta medica, si incorre comunque in un reato che configura l'esercizio abusivo della professione medica e/o di farmacista. Sotto questo aspetto, è irrilevante l'aver dato consigli sul dosaggio e la posologia.

martelletto del giudice

Pretura di Genova - sentenza n.1720 del 22-11-1991

"prodotti erboristici confezionati a dose e forma di medicamento, in recipienti pronti per la vendita, contraddistinti con un nome speciale indicanti la posologia, nonché accompagnati da un opuscolo illustrativo delle proprietà terapeutiche e delle modalità d'impiego dei prodotti stessi".

La sentenza ha giudicato colpevole un farmacista per aver venduto in farmacia prodotti erboristici in dose e forma di medicamento. In questo caso, trattandosi di farmacista in farmacia, il magistrato ha richiamato l'art. 169 del T.U.LL.SS . Questo articolo sottolinea come il farmacista in farmacia (a differenza dell'erborista che non può comunque esitare prodotti "terapeutici" in dose e forma di medicamento), può vendere prodotti erboristici in dose e forma di medicamento solo nel rispetto di detto specifico articolo.

D.lgs vo 178/91 - art. 169) Il farmacista che abbia messo in vendita o che detenga per vendere specialità medicinali non registrate o specialità, delle quali sia stata revocata la registrazione o della quale sia stata modificata la composizione, è punito con l'ammenda da lire 200.000 a lire 600.000 (1), e con la sospensione dall'esercizio professionale fino a un mese. In caso di recidiva, la pena è dell'arresto da uno a tre mesi, della ammenda da lire 400.000 a 1.200.000 (1) e della sospensione dall'esercizio professionale per un periodo da uno a tre mesi.

D.lgs vo 178/91 - art 23 - comma3. Chiunque mette in commercio specialità medicinali per le quali l'autorizzazione di cui all'art. 8 non sia stata rilasciata o confermata ovvero sia stata sospesa o revocata, o specialità medicinali aventi una composizione dichiarata diversa da quella autorizzata è punito con l'arresto sino a un anno e con l'ammenda da lire duemilioni a lire diecimiLioni. Le pene sono ridotte della metà quando la difformità della composizione dichiarata rispetto a quella autorizzata riguardi esclusivamente gli eccipienti e non abbia rilevanza tossicologica.

Questa sentenza è interessante in quanto all'inzio del procedimento giudiziario, era vigente l'Art. 169 del T.U.LL.SS, successivamente abolito dall'Art.26 del D.lgs vo 178/91 (pubblicato sulla G.U. del 15.6.91 ed entrato in vigore in data 1 ottobre 1991) che regola la nuova normativa giuridica (il reato è previsto dall'Art. 23 comma 3): il magistrato si è rifatto all'articolo abolito in quanto nella fattispecie l'applicazione del nuovo articolo (abrogato con l'entrata in vigore del DLgs n. 219 del 24 aprile 2006) sarebbe stata impossibile in quanto avrebbe avuto carattere di retroattività.

martelletto del giudice

Pretura di Verona - odinanza del 1-6-1992

Vengono considerati specialità medicinali i prodotti erboristici presenti in erboristeria, in quanto accompagnati da una pubblicazione che attribuiva ad essi virtù profilattiche delle più svariate malattie. Sulla base che la vendita di specialità medicinali può essere effettuata solo dal farmacista in farmacia, veniva ordinato il sequestro dei prodotti comunque riconducibili a medicinali compresi quelli che presentavano la dicitura profilassi usata con lo scopo di eludere un divieto di legge.

Corte di Cassazione - sentenza n. 1597 del 19-5-1993

In merito ad ricorso presso il Tribunale di Verona avverso l'ordinanza del 1-6-1992, e vinto in appello, la Cassazione ha confermato la precedente disposizione (di condanna) giacché i venditori al dettaglio presentavano il prodotto - senza etichetta - come avente proprietà medicamentose curative o profilattiche in quanto erano in possesso di pubblicazioni contenenti l'indicazione delle proprietà terapeutiche del prodotto e della relativa posologia. Ciò "è sufficiente per qualificare il prodotto erboristico come medicinale".

Questa sentenza riflette l'art. 1 del D.L. vo 178/91 dando rilievo alla presentazione del prodotto, ovverosia ai requisiti formali, indipendentemente dalle sue caratteristiche intrinseche.

martelletto del giudice

Pretura di Pavia - sentenza n. 2 del 14-1-1993

Il magistrato ha riconosciuto la responsabilità penale di un farmacista che ha posto in vendita nella propria farmacia preparazioni alimentari a base di carotenoidi recanti la dicitura "coadiuvanti dell'immunità naturale".

Questa sentenza sottolinea come attribuire a prodotti un azione terapeutica e profilattica configura gli stessi come specialità medicinali per le quali è necessaria l'autorizzazione all'immissione in commercio (D.L. vo 178/91).

Con l'attuale normativa degli integratori alimentari il termine "coadiuvante" è considerato accettabile.

martelletto del giudice

Pretura di Parma - sentenza del 27-1-1993

"Commette reato di esercizio abusivo della professione di farmacista l'esercente un negozio di erboristeria che pone in commercio prodotti cui siano attribuite finalità terapeutiche, poiché - in base alla vigente legislazione - tali prodotti sono 'assimilati' ai medicinali in quanto 'presentati' e cioé pubblicizzati o reclamizzati come sostanze aventi proprietà curative o profilattiche delle malattie (nella specie, la vendita dei prodotti era accompagnata da specifiche pubblicazioni in cui venivano indicati oltre quattrocentocinquanta tipi di malattie curabili)"

Questa sentenza sottolinea che la vendita di prodotti comunque riconducibili a medicinali, può essere effettuata solo dal farmacista in farmacia.

martelletto del giudice

Corte di cassazione, sez. III penale - sentenza n. 3953 del 12-4-1995

"in carenza di una normativa specifica l'individuazione di un prodotto come erboristico è legata alla sua presentazione che deve essere esente da denominazioni, qualificazioni e informazioni, sia sulla confezione che sul materiale pubblicitario, tali da sorprendere la buona fede dell'acquirente".

In questo caso, la Corte ha ritenuto applicabile l'art. 13 della Legge 283/62 sulla pubblicità ingannevole e con la perfezione del contratto d'acquisto (il pagamento del prezzo), si concretizza il delitto di frode in commercio, di cui all'art. 515 del Codice Penale.

martelletto del giudice

Pretura di Torino - sentenza n. 5607 del 9-7-1996

Commette illecito amministrativo (art. 122 T.U.LL.SS) e penale (art. 348) l'erborista che pone in vendita piante officinali medicinali elencate nel R.D. 26-5-1932 a dose e forma di compresse e soluzione idroalcolica.

In questo caso, il magistrato richiamando il R.D. del 1932, ha esplicitamente fatto riferimento alla distinzione fra piante officinali e piante officinali medicinali

martelletto del giudice

Procura di Milano - 03-05-2007

E' stato prosciolto dall'accusa di detenzione e importazione di droga il gestore di uno Smartshop, (i locali dove è possibile acquistare sostanze stupefacenti ai limiti della legge). Per il Gup di Milano, ai tempi in cui l'uomo era finito sotto inchiesta, nel 2003, le sostanze non erano ancóra incluse nell'apposita tabella ministeriale e quindi non si configurava un reato.

Il proprietario dello Smartshop, vendeva pastiglie di pseudoefedrina, stimolanti sessuali, smartdrugs assenzio, pejote, salvia messicana allucinogena blowup caps (anfetamine naturali) e pillole di estratto del fungo psichedelico amanita muscari. A molte di quelle pasticche aveva dato nomi come 'Blue X', 'Green X', 'White X', 'Black X', forse perché gli effetti allucinogeni sperimentati da chi le assumeva permettevano di vedere tutti i colori dell'arcobaleno. E magari anche qualcuno di più.

Nel novembre del 2003 i Nas avevano prelevato una quarantina di campioni delle sostanze nel negozio, uno dei primi smartshop in Italia, per poi sequestrare qualche migliaio di capsule sospette contenenti i principi attivi delle 'pseudoefedrine' e della 'psilocina', contenuta nell'amanita muscaria.
Quest'ultimo tipo di pastiglie era importato dall'Olanda e commercializzato sotto il nome di 'Alice Wondermix'. Le sostanze potevano essere acquistate anche via Internet. E il PM aveva inizialmente iscritto nel registro degli indagati oltre cento persone che avevano effettuato gli acquisti; successivamente la loro posizione era stata archiviata in quanto si trattava di meri consumatori.

Il GUP (Giudice Udienza Preliminare) di Milano ha prosciolto l'imputato dall'accusa di detenzione e importazione di sostanze stupefacenti per cui era indagato dal PM perché il fatto al tempo dell'inchiesta non configurava alcun tipo di reato. I princìpi attivi contenuti non risultavano ancora nelle tabelle del ministero.

martelletto del giudice

Corte di Cassazione, VI sez. penale - sentenza n. 17983 del 10 - 5 - 2006

E' stata annullata senza rinvio la decisione della Corte di Appello di Roma (confermativa di quella del tribunale locale) che aveva condannato un giovane per aver coltivato nel proprio fondo cinque piante di marijuana.

La formula assolutoria usata dai giudici di legittimità è "perché il fatto non sussiste". Queste linea interpretativa era stata inaugurata sempre dalla VI Sezione penale della Suprema Corte nel 1994, quando "si ebbe a distinguere la coltivazione in senso tecnico, un procedimento che presuppone la disponibilità di un terreno e di una serie di attività dei destinatari delle norme sulla coltivazione (preparazione del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione di locali destinati alla custodia del prodotto)", dalla detenzione per uso personale.
Secondo il collegio, tale decisione ebbe il merito "di tracciare un margine ineludibile tra detenzione e coltivazione in senso tecnico, non potendo ricomprendersi in tale ultima nozione, giuridicamente definita, la cosiddetta coltivazione domestica".

La sentenza di Cassazione in questione, trae il suo fondamento su una definzione di coltivazione (non prevista dal Dlgs n. 228 del 18 maggio 2001) per cui la detenzione in un terreno (o, è regionevole supporre, in vaso) di cinque piante di marijuana costituirebbe uso personale. D'altra parte, nel sistema giuridico italiano sebbene le sentenze emesse dalle corti non costituiscano un precedente, verranno verosimilmente richiamate in cause simili dall'accusa o dalla difesa, ma il giudice non sarà necessariamente tenuto ad attenersi ad esse (al contrario, le sentenze della cassazione a corti riunite e quelle della corte costituzionale, nel nostro ordinamento, costituendo giurispridenza, hanno un valore equipollente alla legge stessa). Questo significa che il giudice che voglia attenersi alla citata sentenza dovrà valutare, caso per caso, se una coltivazione per le sue caratteristiche e per la sua estensione rientra o meno nel concetto di piantagione illecita.

Nella sentenza in questione, occorrerebbe chiedersi: a) se la detenzione per uso personale comprenda l'esigenza di avere sempre disponibile un prodotto "fresco"; b) se un prodotto ad alta redditività come le sostanze stupefacenti possa essere paragonato, per modalità produttive, con un prodotto di tipo corrente come ad esempio il grano.

A questa sentenza, fondata sulla definizione di coltivazione, se ne possono collegare alre due: la prima anch'essa d'indirizzo; la seconda, come massima giuriprudenziale a sezioni unite.

10 gennaio 2008, n. 871 - La coltivazione di canapa indiana va sanzionata indipendentemente dall'ampiezza del numero di piante contenenti sostanze tossiche.

Si tratta di un reato di pericolo; si deve tener conto di fattori inerenti alla realizzazione dell'attività criminosa che prescindono anche dalle aspettative del suo autore: nella coltivazione di piante di canapa indiana, l'idoneità a produrre sostanze droganti dipende anche da fattori causali di tempo e di luogo della piantagione.

24 aprile 2008 - Coltivare la cannabis è sempre un reato. Anche se si coltivano poche piantine in casa a uso personale. A questa conclusione sono giunte le sezioni unite penali della Cassazione. Il Collegio esteso, ha quindi risolto il delicato contrasto di giurisprudenza sostenendo che qualunque coltivazione di cannabis anche quella che non è imprenditoriale, è reato.

Si è così posta la parola fine alle diverse pronunce che avevano avuto esiti opposti. La questione da dirimere era, se "la condotta di coltivazione di piante, dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, sia penalmente rilevante anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto all'uso personale".

martelletto del giudice

Corte di Cassazione, VI sez. penale - sentenza n. 34200 del 6 - 11 - 2007

I rimedi omeopatici pur non essendo "riconosciuti dallo Stato" devono comunque essere prescritti da un medico abilitato alla professione. Chiunque prescriva medicinali omeopatici senza essere in possesso del titolo di medico è penalmente perseguibile per esercizio abusivo della professione medica (reato previsto dall'articolo 348 CP), anche se i pazienti sono consapevoli che la persona a cui si sono affidati non ha conseguito alcuna laurea in medicina.

La Corte ha annullato l'assoluzione accordata dalla Corte d'appello di Bologna a Marcello M., che "aveva esercitato, attraverso visite mediche, diagnosi e terapie l'attività di medico", dal '93 al gennaio '98, "senza aver conseguito alcuna abilitazione dell'esercizio della professione medica". Per il giudice di merito, settembre 2005, l'uomo andava assolto perchè prescrivendo rimedi di origine naturale non aveva compiuto atti riconducibili all'attività propria di un medico. Tanto più che i suoi pazienti sapevano benissimo che non era un medico. Di parere contrario la Cassazione (sentenza 34200) che ha accolto il ricorso della Procura di Bologna. Scrive il relatore Giovanni De Roberto che "integra il reato di esercizio della professione medica la condotta di chi effettua diagnosi e rilascia prescrizioni e ricette sanitarie per prodotti omeopatici perchè tali attività rientrano nell'esercizio di un'attività sanitaria che presuppone, per il legittimo espletamento, il possesso di un titolo valido ed idoneo". Non è rilevante, per la Suprema Corte, se "i rimedi omeopatici non sono riconosciuti dallo Stato, certamente non sono vietati ma sono rimessi alla libera scelta dell'interessato d'accordo con il suo medico curante dal quale le ricette devono essere redatte"; diversamente "sarebbe paradossale imporre oneri a chi intende curare pazienti dopo essersi formato su testi della scienza medica ufficiale e non esigerli, invece, per chi voglia svolgere un'attività terapeutica in base a nozioni e metodi alternativi non riconosciuti dalla comunità scientifica".

La Cassazione ha anche chiarito che tra le "attività di esclusiva competenza dei medici" figurano la "chiropratica, l'agopuntura, i messaggi terapeutici, l'ipnosi curativa, la fitoterapia, l'idrologia". L'eccezione è per gli ottici che consigliano lenti a contatto giacché per questi, essendo presidi medico-chirurgici, non è prevista la laurea in medicina. Stesso discorso per l'attivazione di una ginnastica oculare rieducativa mediante apparecchiatura elettronica, l'elettrodepilazione, la misurazione della pressione arteriosa non seguita da giudizio diagnostico, la gestione in un centro tricologico con finalità di miglioramento estetico, la consulenza dietetica in un centro di rieducazione alimentare, la vendita di erbe con indicazione della loro modalità di azione, la realizzazione di tatuaggi. In tutti questi casi non è necessaria la laurea in medicina.
Questa distinzione è regolata da una norma che non è certamente volta "ad interessi di tipo corporativo", ma guarda esclusivamente all'"interesse della collettività al regolare svolgimento delle professioni per le quali sono richieste una speciale abilitazione e l'iscrizione nell'albo". E sempre per tutelare i pazienti, nel puntuale vademecum la Cassazione ricorda che "commette reato di abusivo esercizio della professione di dentista l'odontotecnico che svolga attività riservata al medico nei confronti dei pazienti che si rivolgono a lui". Stesso rigore va applicato al biologo, che commette reato se "sia pure presso il laboratorio di analisi effettui un prelievo di sangue venoso a fine di analisi". E' penalmente perseguibile anche lo psicoterapeuta privo di laurea, così come chi pratica l'agopuntura.

Come corollario di questa pronuncia, è bene ricordare che la preparazione di integratori alimentari (la cui produzione e confezionamento è disciplinata dal DLgs 21 maggio 2004, n.169 – art. 9) in farmacia, può effettuarsi solo da un farmacista abilitato e dietro presentazione di ricetta medica (l’allestimento di integratori in erboristeria è escluso in quanto all’erborista diplomato o laureato è unicamente concessa la miscelazione di erbe), potendosi altresì configurare l'ipotesi del reato previsto dal citato art. 348 CP.

martelletto del giudice

Cassazione sent. n. 36943 del 12.10.2005 (riferimenti normativi: artt. 445, 515 cod. pen.; 23 D.Lgs. 178/1991; D.Lgs. 111/1992)

La messa in commercio di un prodotto a base di "creatina" ad alto dosaggio necessita dell'autorizzazione ministeriale richiesta per i medicinali, in quanto il prodotto in questione non può essere classificato come integratore alimentare. Pertanto, in assenza di autorizzazione, vengono integrati oggettivamente i reati di vendita di medicinali senza autorizzazione (art. 23, D.Lgs. 178/1991), frode in commercio (art. 515 cod. pen.) e somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute (art. 445 cod. pen.)

Tali fatti non sono stati ritenuti punibili in quanto commessi in buona fede dal produttore, che aveva ragionevolmente supposto che il proprio prodotto rientrasse nella categoria degli integratori alimentari).

Riferimenti normativi: Decreto Legislativo n. 111 del 27/01/1992; Decreto Legislativo n. 169 del 21/05/2004

La Procura della Repubblica di Torino aveva rinviato a giudizio il fabbricante di prodotti denominati "creatyl" e "creatina HPCL 99" in quanto, accogliendo la tesi del pubblico ministero, pur dovendosi essi qualificare come farmaci, erano stati messi in commercio senza la prescritta autorizzazione prevista dal D.Lgs. 178/1991, ma al contrario se ne era soltanto effettuata la notifica all'allora Ministero della sanità come integratori alimentari ai sensi del D.Lgs. 111/1992.

Il fondamento dell'addebito era costituito dall'alto quantitativo di "creatina" presente nel prodotto, tale da determinare una assunzione superiore ai 6 g/die, considerata come soglia discriminatoria per la classificazione del prodotto come farmaco, unitamente alle indicazioni terapeutiche fornite nei depliants pubblicitari.
Come si apprende da qualunque enciclopedia La "creatina" è un derivato amminoacidico sintetizzato nel fegato e nel pancreas, che - trasportato nel sangue, nei muscoli e nel cuore - aiuta a tamponare le variazioni di concentrazione del composto chimico ATP durante la contrazione muscolare, mantenendo la capacità di liberazione di energia da parte dell'organismo sotto sforzo. E' noto, infatti, l'uso della "creatina" per migliorare le prestazioni sportive.

Oltre la specifica violazione del D.Lgs. 178/1991, il pubblico ministero aveva conseguentemente addebitato la violazione degli artt. 515 e 445 cod. pen. Infatti, se il prodotto doveve qualificarsi come farmaco, ne doveva discendere il reato di frode in commercio (art. 515 cod. pen.) poiché, mancando la prescritta autorizzazione, il prodotto (medicinale) era privo di una caratteristica (giuridica) che ne determinava la qualità, sottotaciuta al consumatore; la concorrente violazione dell'art. 445 cod. pen., costituisce una forma particolare di frode relativa ai farmaci: "somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica".

Il giudice di primo grado aveva ritenuto addirittura insussistenti, già da un punto di vista oggettivo, i reati contestati, in quanto non veniva condivisa la qualificazione del prodotto come farmaco. La motivazione era legata al fatto che l'individuazione della soglia dei 6 g di assunzione giornaliera come foriera di effetti farmacologici, appariva controversa. Inoltre, la "creatina" non era inserita nella farmacopea ufficiale; infine, il Ministero nulla aveva eccepito allorché il produttore aveva seguìto la procedura di notifica del prodotto (come integratore alimentare), anziché quella autorizzativa propria dei medicinali.

In appello venne affermata la natura medicinale del prodotto a base di "creatina" sulla base di un duplice ordine di motivi: da una parte, venne considerata il dato formale della presentazione del prodotto, unitamente ad altri di quel fabbricante, come dotato di proprietà terapeutiche secondo quanto illustrato in appositi opuscoli informativo-pubblicitari; in secondo luogo (argomentazione debole -NdR), il dosaggio del prodotto veniva considerato esso stesso, da un punto di vista sostanziale, come idoneo a inserirlo nella categoria dei medicinali, trascendendo quella degli integratori alimentari di libera vendita.
Ciò nonostante, i giudici di appello assolsero ugualmente l'imputato per mancanza dell'elemento soggettivo del reato in quanto l'imputato aveva ragionevolmente potuto credere che il proprio prodotto andasse qualificato come integratore alimentare e non come farmaco.

Questa motivazione è piuttosto delicata e, ad evitare perplessità, deve essere chiarita. Nel nostro ordinamento vale il principio che l'ignoranza della legge penale non può essere addotto come scusante per guadagnare l'impunità della condotta vietata (art. 5 cod. pen.). In altri termini, non si può pretendere di andare esenti da pena sostenendo di non aver conosciuto la norma che vietava un determinato comportamento.

Il caso in discussione è differente: l'assoluzione dell'imputato non deriva dall'ignorare quelle disposizioni della legge penale (art. 515 cod. pen. ecc.) che avrebbero fondato la sua responsabilità. Si è però accettato che fosse caduto in errore sul fatto che il proprio prodotto rientrasse o meno in una certa categoria, da cui scaturivano o meno determinate conseguenze, tanto più in presenza di una serie di elementi di incertezza che potevano averne condizionato la valutazione.

La Corte di cassazione ha confermato l'impostazione dei giudici d'appello, rigettando le considerazioni avanzate dal pubblico ministero. Questi aveva sottolineato che il Ministero non era stato silente di fronte alla commercializzazione del prodotto, in quanto aveva richiesto la riduzione del dosaggio di "creatina", il che secondo l'accusa doveva costituire sufficiente indizio della consapevolezza della illiceità della condotta tenuta.

Nell'accettare gli argomenti a discarica già utilizzati dai precedenti giudici, la Corte ha ribadito che un elemento a favore del riconoscimento dell'errore in cui era caduto l'imputato derivava dal fatto che la "creatina" non era inserita nella farmacopea ufficiale (questa è una argomentazione tanto strana quanto delicata -NdR). E' ben vero - ha precisato la Corte - che il giudice penale non è strettamente vincolato dall'atto amministrativo che iscriva nella farmacopea una certa sostanza, in quanto è rimesso al suo giudizio la correttezza della inclusione o della esclusione di tale sostanza ai fini del giudizio penale. Tuttavia, ricorda la Corte, è consigliabile che il giudice ancori la propria valutazione sulla natura medicinale o meno della sostanza alle ragioni scientifiche che abbiano condotto a includere o meno quella sostanza nella farmacopea. Inoltre, solo in epoca successiva ai fatti di causa era stata emanata la circolare ministeriale contenente le linee-guida sugli alimenti adatti a un intenso sforzo muscolare, a cui i produttori interessati avrebbero dovuto da quel momento in avanti attenersi.

D'altra parte, non poteva essere enfatizzata l'argomentazione dell'accusa secondo cui il Ministero aveva richiesto la riduzione della concentrazione di "creatina": restava il fatto che il Ministero non aveva nulla eccepito a che il produttore si limitasse a notificare la messa in commercio del prodotto anziché richiedere la autorizzazione prevista per i medicinali. Se, dunque, lo stesso Ministero tramite i suoi organi competenti aveva potuto in fin dei conti cadere nell'errore di qualificazione del prodotto come integratore alimentare anziché farmaco, a maggior ragione tanto poteva essere scusato al privato, nonostante - si potrebbe aggiungere - la legittima pretesa dell'ordinamento, valida in linea di principio, che l'imprenditore che intende svolgere una determinata attività deve mettersi a giorno di tutte le normative, anche penali, con cui quella attività può andare a interferire.

Da ultimo la Corte ha svalorizzato l'indicazione di proprietà terapeutiche contenuta in opuscoli che accompagnavano la gamma dei prodotti commercializzati dall'imputato, elemento che, come abbiamo visto, avrebbe potuto determinare la classificazione del prodotto come medicinale a prescindere dalla sua natura effettiva. I giudici hanno evidenziato come il depliant riguardasse cumulativamente, e genericamente, ben 70 diversi prodotti, senza specifiche indicazioni in merito a quelli oggetto di addebito.


apertura di un'erboristeria1 legge 19312 Regio Decreto 1931 - Regolamento3 allegato RD 19314 disciplina raccolta della digitale5 circolare Aniasi6 disciplina della distillazione7 8 droghe non previste dalla legge9 assenzio: la fata verde10 La fitoterapia e l'erboristeria: quadro generale11 la fitoterapia e l'erboristeria nei Paesi UE12 proposta di regolamentazione del settore erboristico13
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