elementi di fisica dei sistemi diagnostici

In questa breve presentazione introduttiva sono riassunti alcuni elementi di fisica che costituiscono la base per la comprensione delle tecniche di imaging diagnostico. Le varie apparecchiature sono descritte più accuratamente nelle singole voci, per cui quella che segue è unicamente una premessa basata su considerazioni intuitive. E' importante precisare che quanto viene discusso sui sistemi diagnostici si riferisce unicamente ai princìpi di acquisizione delle immagini in quanto la loro interpretazione è esclusivamente compito del medico.

raggi X risoluzione risonanza fotomoliplicatore
trasformate di Fourier raggi gamma interazioni con la materia elettroni e positroni
ciclotrone cristalli liquidi

raggi X

I raggi X sono onde elettromagnetiche di lunghezza d'onda compresa in un intervallo tra 100 nm (1 nanometro = 10 -9m e 1 pm (1 picometro = -12m), dunque si collocano oltre il campo dell'ultravioletto e parzialmente coincidente con l'intervallo dei raggi gamma. La loro velocità nel vuoto è quella caratteristica delle onde elettromagnetiche come la luce, cioé c = 299.792.458 m/s; nella materia essi mostrano indici di rifrazione molto prossimi all'unità, tra 1+10-5 e 1+10-4: questo spiega perché non è possibile focalizzarli con comuni lenti ottiche, come si fa con la luce visibile.

raggi X (produzione)

I raggi X (il termine "X" stava per "di origine sconosciuta") furono scoperti da fisico Wilhelm Röntgen nel 1895 bombardando un bersaglio metallico con un fascio di elettroni (raggi catodici) emessi dal catodo dì un tubo di scarica contenente gas rarefatto (cfr illustrazione sopra).

Röntgen, mentre conduceva i suoi studi con il tubo tubo catodico, provò a rivestirlo accuratamente con uno spesso foglio di cartone nero per eliminare completamente la luce, facendolo poi attraversare da una forte scarica elettrica. A circa un metro dal tubo vide una inaspettata luminescenza, si avvicinò per capire da dove provenisse e vide una piccola carta ricoperta da platinocianuro di bario. La luminescenza indotta (fluorescenza) era verosimilmente legata all'emissione di sconosciute radiazioni emesse dal tubo catodico. La fluorescenza indotta persisteva anche allontanando lo schermo fluorescente o chiudendo il tubo in una cassetta di legno. In particolare, interponendo la propria mano tra tubo e schermo, appariva su questo l'ombra delle proprie ossa.

La capacità dei raggi X di attraversare la materia trovò un'immediata applicazione medica nella radioscopia, ovverosia in una indagine diagnostica che utilizzando i raggi X permetteva di vedere l'interno del corpo, rilevandone alcune criticità. Certamente la piccola testimonianza fotografica qui proposta per documentare gli albori della radiologia, riporta alla mente le inconsapevoli vittime derivanti dall'ignorare i pericoli della radioattività.

La pericolosità delle radiazioni ionizzanti emerse solo alcuni anni dopo la loro scoperta; si pensava che il radio ed i suoi sali offrissero impieghi terapeutici topici e sistemici, con creme e compresse radioattive, oppure bevande "energizzate" (attraversano la materia, quindi...) con radon. Tutto ciò è continuato fino alla prima metà degli anni '30. Ed è stato anche il periodo di quelle reclamizzate località termali i cui fanghi e acque potevano vantare un'alta radioattività naturale.

prima fotografia a raggi X nel 1896 fluoroscopio raggi X in un ambulatorio del 1920
la prima radiografia a raggi X (1896)
la mano è della moglie di Röntgen
fluoroscopio di fine '800 ambulatorio radiologico del 1920.

Le tre fotografie mostrano: la prima radiografia effettuata sulla mano sinistra della moglie di Röntgen, dove è visibile un anello (non attraversato, al pari delle ossa, dai raggi X); il fluoroscopio, un dispositivo che permettava di esaminare il paziente dietro il quale era posizionato il tubo a raggi X; un ambulatorio radiologico del 1920, dove il medico effettuava una radioscopia in diretta (cioé senza lastra fotografica) godendo della protezione (limitata) di un grembiule piombato.

risoluzione

E' la misura della precisione di uno strumento scientifico. Questo termine è d'uso comune in riferimento a strumenti ottici. Un microscopio ottico, un obiettivo fotografico, un telescopio in grado di offrire un'alta definizione sono sempre più costosi dei loro analoghi commerciali perché i primi sono più difficili da progettare e da costruire, oltre che da richiedere un maggior controllo di qualità.

La risoluzione è un parametro diverso dall'ingrandimento giacché quest'ultimo dice solo quanto è l'ingrandimento di uno strumento. Per esempio, sono pubblicizzati telescopi a "100 ingrandimenti" per poche decine di euro. Come promette il claim pubblicitario, certamente permettono di osservare la superficie della Luna, però i dettagli saranno grossolani, come se fossero tracciati con un pennello piuttosto che con una matita appuntita. La risoluzione si può definire in termini semplici come la capacità di distinguere due linee parallele, senza che queste si confondano in un'unica linea. Per esempio, una lente per telescopio di 30 cm di diametro e ad altissima risoluzione permette di risolvere due linee alla distanza di 300 metri.

spettro elettromagnetico

La risoluzione, oltre che alla cura progettuale e costruttiva di uno strumento, è anche vincolata da limiti oggettivi: la lunghezza d'onda con cui viene esaminato un osservabile fisico. In generale, un dato tipo di radiazione (radiazione IR, luce visibile, UV, X, ecc.) può essere usato unicamente per esaminare oggetti o dettagli che hanno dimensioni pari alla lunghezza d'onda con cui sono osservati. Così, per quanto riguarda la luce visibile il limite per la risoluzione di un microscopio ottico è imposto dalla lunghezza d'onda della luce visibile, che va da circa 0,4 micron (per il viola) a 0,7 micron (per il rosso). Questo significa che batteri e mitocondri, che hanno una dimensione di circa 500 nm (0,5 micron), sono generalmente i più piccoli oggetti la cui forma si può facilmente riconoscere al microscopio ottico, i dettagli più piccoli non sono osservabili.

risonanza

Questo fenomeno si presenta quando un oggetto prende a vibrare in "simpatia" con un altro oggetto. La risonanza viene comunemente associata all'energia sonora e si può riscontrare in ogni circostanza in cui l'energia sonora si dissipa in modo regolare e ripetuto. Per esempio, nei movimenti di un'altalena, nelle onde radio e nelle vibrazioni di atomi e molecole.

Un semplice esperimento permette di descrivere il principio della risonanza. Quattro palline pendono da altrettanti fili A, B, C, D. Questi a loro volta sono appesi ad un unico filo mantenuto in tensione tra due estremi.

pendoli in risonanza

Facendo oscillare il pendolo A, anche il pendolo C comincerà ad oscillare insiema ad A; anche B e D prendono ad oscillare, ma solo in modo irregolare e incerto. Questo perché solo le sferette A e C sono appese a fili della stessa lunghezza. Questo semplice esempio, unito ad altre osservazioni, mostra che tutte le cose che possono muoversi in modo ripetuto e regolare hanno una naturale "oscillazione" o periodo di vibrazione. Il principio della risonanza ha varie applicazioni:

emittente frequenza (MHz) località di utenza
Radio Globo 100.00 Frosinone
R 101 100.00 Roma
Radio Subasio + 100.00 Viterbo
Radio Deejay 100.00 Chieti
1) selezione di un periodo di vibrazione: ad ogni stazione radio o televisiva è assegnata una particolare frequenza per le onde che trasmette.
Per esempio, la tabella a destra mostra le emittenti e il bacino d'utenza corrispondenti ad una certa frequenza radio. Quando un utente seleziona la sua radio su 101, regola un componente elettronico (condensatore variabile) per farlo entrare in risonanza a 101 MHz. In pratica, è come aggiustare la lunghezza del filo B (fig.1) fino a quando entra in risonanza con il filo A;

2) trasferimento di energia: quando si spinge un bambino su un'altalena, si possono raggiungere notevoli oscillazioni sincronizzando le spinte con la velocità di oscillazione (frequenza) dell'altalena. Se si spinge prima che termini l'oscillazione di ritorno, una parte della spinta viene sprecata per frenarne la velocità anziché aumentarla. Se invece si applica la spinta nel punto massimo di ritorno, si ha un sorta di oscillatore (filo A) e si trasferisce energia all'altalena ed al suo passeggero (filo C). Questo è anche il principio degli ultrasuoni applicati alle cure dentali ed alla pulizia dei gioielli;

3) analisi di sostanze: chimicamente gli atomi sono composti da un nucleo e da elettroni, il loro movimento è associato ad una vibrazione che è diversa per ciascun tipo di atomo. analisi di sostanze Gli atomi di idrogeno, per esempio, hanno una frequenza di oscillazione differente da quella degli atomi di ossigeno. Così, un metodo per identificare le sostanze con un'altissima sensibilità, consiste nell'individuare le frequenze di risonanza dei singoli atomi. Il processo richiede l'uso di campi magnetici (v. risonanza magnetica). Per comprendere intuitivamente il principio di questa analisi, consideriamo la figura 2. Abbiamo due fili, A e B, collegati ad altrettante sferette, però il filo A è racchiuso in una scatola per cui non possiamo vedere la lunghezza del pendolo racchiuso al suo interno. Però, possiamo individuare indirettamente la lunghezza del pendolo A che oscilla ininterrottamente: è sufficiente modificare la lunghezza del pendolo B... appena questo inzia un'oscillazione continua e regolare, allora sappiamo che è identico al pendolo racchiuso nella scatola.
Il pendolo che oscilla all'interno della scatola è come l'atomo che vibra. Il pendolo esterno, la cui frequenza è regolabile con la sua lunghezza, è come l'oscillatore elettronico nella macchina per la risonanza magnetica nucleare. L'oscillatore genera onde radio la cui frequenza può essere regolata. Se le onde radio non sono in risonanza con gli atomi che vibrano, si vede una debole linea increspata sullo schermo di un rivelatore; se le frequenze sono in risonanza, si vede un picco netto. Il picco mostra la frequenza degli atomi da individuare. Per identificare gli atomi di una sostanza esistono molti metodi di analisi diretta (reazioni chimiche di identificazione) e indiretta (spettroscopia). Il vantaggio principale della risonanza magnetica è che può essere usata sugli esseri viventi, dalle singole cellule a interi organismi e senza danneggiarli.

osservazione
L'oscillazione trasferita dal pendolo A al pendolo B è dovuta ad un'onda elastica veicolata dal filo inestensibile al quale sono collegati i vari pendoli; nel caso dell'atomo, non è necessaria la presenza di un supporto fisico: il "filo" tra l'atomo e il ricevitore (rivelatore di frequenza) è dato dall'onda stessa che diparte dall'atomo.

fotomoltiplicatore

I fotomoltiplicatori sono dei trasduttori che convertono un segnale luminoso in un segnale elettrico. Il funzionamento del fotomoltiplicatore si basa principalmente su due effetti: l'effetto fotoelettrico e l'emissione secondaria (cioè l'elettromoltiplicazione).

fotomoltiplicatore

I fotoni attraverso una finestra di ingresso raggiungono il fotomoltiplicatore (un tubo di vetro al cui interno è stato praticato il vuoto) e colpiscono il fotocatodo, una superficie rivestita da un materiale sensibile alla luce che favorisce l'effetto fotoelettrico. Grazie all'effetto fotoelettrico la luce incidente provoca l'emissione di elettroni (fotoelettroni) che sono focalizzati da un elettrodo verso il moltiplicatore, costituito da una serie di elettrodi ciascuno caricato ad un potenziale superiore all'elettrodo precedente (dinodi). Il primo elettrone emesso per effetto fotoelettrico subisce una accelerazione a causa del campo elettrico e acquisisce energia cinetica.

moltiplicatore di elettroni

Quando l'elettrone colpisce il primo elettrodo del dinodo provoca l'emissione secondaria di diversi elettroni di minore energia. La struttura del sistema è progettata in modo che ciascun elettrone emesso da un elettrodo venga accelerato e provochi l'emissione di diversi elettroni dall'elettrodo successivo. Si ha così un processo a cascata per cui un singolo fotone che colpisce il tubo provoca il passaggio di moltissimi elettroni. Il guadagno teorico, G, cioè il numero totale di elettroni prodotti per fotone incidente in un fotomoltiplicatore a n dinodi è:

G = f n

dove f è il fattore di emissione di elettroni secondari di ogni dinodo. Al termine della sequenza di elettrodi gli elettroni colpiscono un anodo, ed un rapido impulso elettrico indica il rilevamento del fotone. I fotomoltiplicatori devono essere schermati magneticamente, in quanto un campo magnetico esterno (anche quello terrestre) può deviare il percorso degli elettroni al suo interno.

trasformate di Fourier

Fin dalle scuole elementari impariamo cosa sono le unità di misura, e con esse la varie conversioni: da metro a centimetro, da kg a grammo, da litro a millilitro. Poi, nelle scuole superiori, ci viene insegnata una conversione un po' diversa: l'equivalenza di Joule fra calore e lavoro. In pratica, questa relazione [1 Joule = 0,24 calorie] evidenzia che il calore generato da un processo di combustione o prodotto dalla dissipazione di un lavoro (umano, meccanico, elettromeccanico, ecc.) non è che una diversa manifestazione di energia. Ovviamente questa non è una semplice conversione tra unità di misura: non stiamo scrivendo che 0,24 calorie corrispondono 0,24/1000 kcal. Quello che stiamo facendo è mostrare le due facce di una stessa medaglia. E non è poco, per esempio, ci si può giocare a "testa e croce"; inoltre, la faccia di una moneta da un euro ci mostra l'Europa, ricordandoci che la moneta è unica, ed il retro ci mostra un'immagine del Paese emittente. Nel caso concreto, a volte è preferibile misurare il lavoro; a volte il flusso di calore. Salvo poi esprimerle entrambe in Joule.

Ecco, le trasformate di Fourier sono trasformate, non conversioni...

trasformate di Fourier

Senza rimanere interdetti da come si usano " 'sti cosi", diamo un'occhiata alla simmetria delle due formule: la X(f) e la x(t) - salvo nei segni più e meno - si scambiano l'una con l'altra.
Dal punto di vista formale, queste formule mostrano il passaggio dal dominio del tempo, x(t) al dominio della frequenza X(f), e viceversa (un pò come il passaggio dal dominio del calore al dominio del lavoro). Vediamo di comprendere l'importanza.

Se per esempio abbiamo un segnale sonoro, che è descritto ad ogni istante da una forma d'onda che abbia funzione x(t), grazie alla Trasformata di Fourier possiamo scomporre il segnale in tutte le sue armoniche ed ottenerne la cosiddetta "trasformata", ovvero una funzione X(f) che rappresenta lo stesso segnale di origine descritto in un altro modo.
Le due formule possono essere liberamente utilizzate per passare da un dominio all'altro a seconda del tipo di calcoli che si vogliono effettuare, ed il segnale, nell'una o nell'altra forma, resta comunque stesso, giacché si tratta solo di un diverso modo di studiarlo.

Per fissare le idee, esaminiamo una funzione sinusoidale "pura", costituita cioè da un'oscillazione su un'unica frequenza. La sua rappresentazione nel dominio del tempo è costituita dalla classica sinusoide (v. fig. 1), mentre la sua rappresentazione nel dominio della frequenza è costituita da un'unica riga spettrale, centrata sulla frequenza dell'oscillazione (1000 Hz), che viene detta anche "fondamentale" (fig. 2).

sinusoidale 1000 Hz

Ora, consideriamo un'onda più complessa, formata da tre armoniche:

Mentre l'osservazione dell'onda risultante (colorata in rosso) non permette di individuare la composizione del segnale, la stessa onda nel dominio delle frequenze mostra che le onde sono tre, alle frequenze 200 Hz (fondamentale), 400 e 600 Hz. E' ora più facile proporre un esempio pratico. Premesso che i suoni nelle frequenze udibili variano fra i 20 ed i 16.000 Hz (gli animali percepiscono frequenze molto più alte), a volte questi suoni sono disturbati da rumori di fondo. Per esempio, immaginiamo di registrare la nostra voce in un ambiente caratterizzato da un elevato traffico automobilistico: riascoltandola, la troveremmo a tratti incomprensibile perché confusa con un fastidioso rumore di fondo. Però, se trasformiamo i segnali dal dominio del tempo al dominio della frequenza, individueremo che il rumore di fondo è presente a 50 Hz e potremo cancellare con un filtro questa frequenza per poi tornare nel dominio del tempo. Riascoltando la nostra voce modificata in questo modo la sentiremo meno disturbata e la sua possibile alterazione dovuta all'eliminazione della componente a 50 Hz, presente anche nel parlato, sarà trascurabile e comunque porterà il vantaggio di rendere la voce più intellegibile.

correzione immagine Gli impieghi della Trasformata di Fourier oltre all'elaborazione di segnali, comprendono dispositivi di controllo, per la codifica di suoni, immagini, ecc. FFT (Fast Fourier Transform) con metodi al computer. Un'importante applicazione si ha nella diagnostica per immagini, dove per esempio permette di eliminare o ridurre il rumore di fondo da un'immagine (cfr. figura a sinistra).


raggi gamma

In fisica nucleare i raggi gamma sono una forma di radiazione elettromagnetica prodotta dal cosiddetto decadimento gamma o da processi nucleari o subatomici consistenti nell'emissione di fotoni ad alta energia.

I raggi gamma si distinguono dai raggi X per la loro origine: i gamma sono prodotti da transizioni nucleari o comunque subatomiche, mentre gli X sono prodotti da transizioni energetiche dovute ad elettroni che saltano tra i loro livelli energetici quantizzati. Poiché per alcune transizioni elettroniche è possibile superare le energie di alcune transizioni nucleari, i raggi X più energetici si confondono con i raggi gamma più deboli.

I raggi gamma, essendo fotoni, hanno minor tendenza ad interagire con la materia e quindi sono più penetranti della radiazione particellare prodotta dalle due forme di decadimento alfa e beta. Così, uno schermo per raggi gamma richiede una massa notevole, tanto che per ridurre del 50% l'intensità di un raggio gamma occorrono 1 cm di piombo, 6 cm di cemento o 9 cm di materiale pressato. Così, sebbene i raggi gamma siano meno ionizzanti degli alfa e beta, per la protezione degli esseri umani richiedono schermi più spessi. I raggi gamma producono effetti simili a quelli dei raggi X come ustioni, forme di cancro e mutazioni genetiche.

interazioni con la materia dei raggi X e gamma

La radiazione con lunghezze d'onda dei raggi X e gamma interagisce con la materia in tre modi principali: l'effetto Compton, l'effetto fotoelettrico e la produzione di coppie elettrone-positrone.


elettroni e positroni

entraprise di STAR TREKCosa sia un elettrone, almeno in una schematizzazione elementare, è noto: una carica elettrica negativa che "gira" attorno al nucleo. Meno noto è cosa sia un positrone, cioè un elettrone con carica positiva. Un positrone è uno dei costituenti dell'antimateria. Quando un elettrone urta contro un elettrone, si ha l'annichilazione dei due (cioé l'annientamento reciproco) con liberazione di energia in forma di due fotoni γ emessi a 180º l'uno dall'altro.

Generare anche un singolo atomo di antimateria richiede una quantità di energia che viene restituita quando entra in contatto con un'atomo di materia ordinaria. In realtà, non si finisce in pareggio: gli acceleratori di particelle necessari per produrre antimateria richiedono enormi quantità di energia, molto superiori a quella rilasciata dopo l'annichilazione con la materia ordinaria. Per conseguenza l'antimateria non si può considerare una fonte di energia (lo è solo nella fisica di Star Trek™).

Come abbiamo visto accennando alle interazioni con la materia, i positroni vengono prodotti in coppia con gli elettroni come conseguenza di urti ad elevata energia fra i raggi gamma e la materia. Tipicamente, un fotone gamma che incontra un atomo produce una coppia elettrone-positrone. Il neonato elettrone (particella β-) si allontana per godere di un'esistenza più o meno permanente, mentre il positrone (particella β+) è molto, molto meno longevo : appena incontra un elettrone (entro 10-8 secondi) la coppia elettrone-positrone si annichilirà istantaneamente, invertendo il processo di creazione di coppia e restituendo fotoni.

L'interazione delle radiazioni gamma con la materia è diversa rispetto a quella delle particelle beta: le gamma non hanno carica, quindi non vengono deviate dalla nuvola elettronica dell'atomo e interagiscono con un elettrone unicamente se lo incontrano sulla loro traiettoria.
La differenza tra interazioni beta e gamma ha importanza pratica nella diagnostica per immagini: la somministrazione di un radiofarmaco marcato con un isotopo beta emittente comporta l'intensa ionizzazione nella zona di fissazione del radiofarmaco, con distruzione del tessuto; le radiazioni non fuoriescono dal piccolo volume di pochi mm3 che circonda la sede di captazione. Al contrario, un radiofarmaco marcato con isotopo emittente gamma provoca danni tissutali molto limitati e può essere usato per ottenere dati e immagini, in quanto le radiazioni gamma fuoriescono dal corpo e possono essere rivelate dall'esterno. Per queste ragioni, la procedure terapeutiche impiegano isotopi beta emittenti e le procedure diagnostiche isotopi gamma emittenti.

ciclotrone

Il ciclotrone è una macchina usata per accelerare fasci di particelle elettricamente cariche (normalmente ioni leggeri) utilizzando una corrente alternata ad alta frequenza ed alta tensione, in associazione con un campo magnetico perpendicolare. Il ciclotrone fu ideato nel 1930 da Lawrence e Livingstone ed è usato in alcuni centri ospedalieri per produrre isotopi radioattivi.

osservazione
Quando una particella con carica, q, ed in movimento con velocità, v, viene introdotta ortogonalmente ad un campo magnetico (Fig. 1), viene deviata e mantenuta su un'orbita circolare per effetto della forza di Lorentz (F = q v Λ B). Nel vuoto la particella circola liberamente però perde lentamente energia (tutte le cariche elettriche, se accelerate, emettono fotoni, detti di Bremsstrahlung, "frenamento"), di modo che il suo movimento segue una traiettoria a spirale fino al centro.

ciclotrone
fig. 1 - rappresentrazione schematica del primo ciclotrone. I due elettrodi ("D" accostate) sono immersi nel campo magnetico
Ecco come funziona il ciclotrone (Fig. 1): all'interno di una camera a vuoto circolare (dove viene introdotta la particella carica) sono presenti due elettrodi semicircolari cavi a forma di "D". I due elettrodi sono come due gusci accostati per le aperture (le "D" si accostano specularmente rispetto alla parte dritta). La camera - con i due elettrodi - è posta tra le espansioni polari di un potente magnete, in modo che il campo attraversi il piano su cui giacciono gli elettrodi.
Applicando una opportuna differenza di potenziale alternata ad alta frequenza tra i due elettrodi (in modo che la differenza di potenziale nella zona compresa fra i due elettrodi sia sempre attrattiva - Fig. 2), le particelle la cui sorgente (costituita da un dispositivo contenente un gas che viene ionizzato tramite una scarica di corrente) è collocata in prossimità del centro della camera, entrano nel semidisco che si trova inizialmente ad un potenziale di carica opposta, e lo percorrono secondo una traiettoria curva. Appena gli ioni rientrano nello spazio compreso tra i due semidischi, le polarità vengono invertite e le particelle entrano nell'altro semidisco ad una velocità aumentata.

percorso a spirale interno al ciclotrone
Fig. 2 - il potenziale cambia continuamente in modo da essere sempre attrattivo

Ripetendo più volte questo processo, le particelle aumentano di volta in volta la loro velocità e quindi percorrono traiettorie con sviluppo a spirale e di raggio sempre maggiore. Infine, le particelle vengono deviate dalla periferia di uno dei due semidischi e inviate sul bersaglio scelto (nuclide da trasformare artificialmente in un radioisotopo emettitore di positroni).

Ora, per completezza, dobbiamo dimostrare che anche un fascio di particelle cariche può essere accelerato con elettrodi che cambiano segno in modo da essere sempre attrattivi. Infatti, si potrebbe pensare che qualche particella "ritardataria" potrebbe essere dalla parte sbagliata degli elettrodi... ebbene, questo non può accadere.

Il lavoro L = F·s compiuto dalla forza di Lorentz sulla particella è nullo, perché essa è perpendicolare alla velocità e quindi allo spostamento: la particella non varia la sua energia cinetica e si muove su un piano pependicolare alla direzione del campo magnetico.
La forza centripeta che trattiene le particelle nella traiettoria circolare è generata dal campo magnetico trasversale B per effetto della forza di Lorentz (fig. 1). L'intensità della forza equivale a B q v, per cui:

forza centripeta e forza di Lorentz

dove m è la massa della particella, q è la carica, v è la velocità, r è il raggio della traiettoria. [dalla formula si vede che a velocità maggiore corrisponde un raggio orbitale maggiore];
riarrangiando, si ha:

il rapporto v/r corrisponde alla velocità angolare ω, per cui:

la frequenza di rotazione, f, è legata alla velocità angolare secondo la relazione:

da cui, sostituendo ω, si ottiene:

la formula ottenuta mostra che per una particella di massa costante, la frequenza di rotazione è indipendente dal raggio dell'orbita e dalla velocità della particella accelerata.

cristalli liquidi

cristalli liquidiAlcune sostanze ad elevata fluidità, e quindi con dello stato liquido, mostrano, come per i solidi cristallini, una disposizione ordinata delle loro molecole e per questo prendono il nome di cristalli liquidi. Grazie a queste proprietà i cristalli liquidi si dimostrano utili quando si vuole disporre di un materiale che abbia una fluidità simile ai liquidi e contemporaneamente possa essere sfruttato per le proprietà ottiche dei cristalli. Infatti, utilizzando una corrente elettrica o un campo magnetico è possibile direzionare il flusso delle molecole del cristallo liquido e sfruttarne la capacità di autoassemblarsi in fasi con proprietà ottiche differenti e con strutture a volte complesse. Così, incapsulando i cristalli liquidi in un foglio plastico e disponendoli tra due elettrodi che creano un campo elettrico (v. fig. a dx), si possono selezionare due fenomeni: allo stato non attivato, le molecole di cristalli liquidi sono casualmente orientate, per cui la luce incidente risulta diffusa. Aumentando il voltaggio, le molecole disperse si orientano in direzione del campo elettrico di modo che la luce non viene rifratta in tutte le direzioni dalla superficie, e il materiale risulta trasparente.

I cristalli liquidi più comuni presentano questa loro proprietà in un dato intervallo di temperatura (sostanze termotropiche); altri presentano questa proprità anche al variare della concentrazione (sostanze liotrope)

In particolare, a seconda della loro struttura, le sostante termotropiche si dividono in:

Diversi cristalli liquidi diventano smettici alle basse temperature, nematici con l'aumento della temperatura e fluidi ordinari quando raggiungono una temperatura abbastanza elevata.


principi di funzionamento dei computer1 principi di fuzzy logic2 applicazioni della fuzzy logic3 microinfusori per insulina4 siringhe hipospray5 capsule per videodiagnostica6 misura della temperatura7 biochip per studi preclinici8 mesoterapia, elettroterapia, microaghi9 mercato farmaceutico e aziende in INTERNET10 11 imaging diagnostico con isotopi radioattivi12 imaging diagnostico senza isotopi radioattivi13 defibrillatore14 firma digitale15
HOME PAGE HOME PAGE

Marcello Guidotti, copyright 2012
Le immagini di prodotti presenti nel sito hanno unicamente valenza esemplificativa oltre che, eventualmente, illustrare messaggi fuorvianti e non vi è alcun richiamo diretto o indiretto alla loro qualità e/o efficacia il cui controllo è affidato alle autorità regolamentatorie.