Nella pratica medica potrebbe risultare di particolare interesse poter stabilire degli orientamenti relativi al trattamento farmacologico, soprattutto per quanto riguarda i pazienti anziani. D'altra parte, per questa tipologia di pazienti, anche a motivo della variabilità delle loro condizioni di salute, non è possibile proporre delle linee guida standard.
Tuttavia, vi sono alcuni criteri che il medico dovrà tener presente e che sono legati alle variazioni fisiologiche della farmacocinetica indotte dall'età, quali soprattutto le modificazioni dei compartimenti corporei e del conseguente volume di distribuzione dei farmaci, cui si associa una riduzione della funzionalità degli organi destinati al loro metabolismo ed escrezione.
Tutto questo fa sì che il paziente anziano possa essere particolarmente sensibile ai farmaci di più comune impiego e possa manifestare con maggior facilità reazioni avverse derivanti dal loro uso.
In particolare, nel paziente anziano si osserva una diversità di risposta al trattamento farmacologico a causa delle modificazioni della composizione corporea proprie di quest'età. Il processo di invecchiamento altera, infatti, la farmacocinetica prevalentemente attraverso le variazioni qualitative e quantitative dei tessuti corporei. Intorno ai 60 anni il peso corporeo aumenta approssimativamente del 25% nell'uomo e del 18% nella donna, per diminuire però negli anni successivi fino ai livelli dell'età giovanile o ancora inferiori. A questa variazione ponderale fa riscontro anche una variazione della composizione corporea: nei soggetti ultraottantenni si assiste in media ad una perdita di circa 6 kg di massa muscolare, contro un incremento di circa 5 kg di massa lipidica; la quota idrica subisce una riduzione di circa il 12%. Queste modificazioni sono più evidenti nel sesso femminile.
Il volume plasmatico si riduce con l'età in modo proporzionale alla riduzione del volume idrico e l'entità di questo evento può risultare particolarmente importante negli individui debilitati. Le alterazioni della composizione corporea modificano la distribuzione dei farmaci: la diminuzione della massa magra e della quota idrica, associata all'aumento della massa totale lipidica, fa sì che nei pazienti anziani i farmaci idrosolubili presentano un minor volume di distribuzione (aumenta la concentrazione plasmatica), mentre quelli liposolubili presentano un maggior volume di distribuzione.
Il volume di distribuzione dei farmaci risente anche delle modificazioni del loro legame con le proteine. Nell'invecchiamento si verifica una diminuzione del 20% della concentrazione plasmatica di albumina, probabilmente a causa della ridotta produzione epatica di questa proteina. Questo determina un incremento della quota libera dei farmaci che si legano alle proteine e dunque un aumento del volume di distribuzione. Vi possono essere, inoltre, anche delle modificazioni qualitative nella capacità di legarsi dell'albumina, in grado di determinare un aumento delle concentrazioni delle sostanze farmacologicamente attive e, pertanto, nel soggetto anziano si può assistere a risposte esagerate ai farmaci che normalmente
si legano alle proteine.
Con l'età, quindi, la diminuzione del legame proteico può aumentare gli effetti tossici o farmacologici: ad esempio farmaci come i salicilati, la digossina, la furosemide, l'indometacina, la penicillina, il dicumarolo, che hanno un elevato legame proteico, nel soggetto anziano possono presentare un incremento dei loro effetti. In generale, a queste osservazioni, si può aggiungere una distinzione legata alle caratteristiche chimiche del farmaco.
esempio: un medico ha prescritto un farmaco la cui dose media per adulti è 250 mg al giorno. Per un bambino alto 100 cm e 25 kg di peso, il dosaggio di questo farmaco dovrebbe essere ridotto.
Come primo passo, si deve determinare la body surface area (BSA):
con i dati proposti, risulta: BSA = 250.425·1000.725· 0.007184 = 0.795
(La formula proposta è uno dei metodi per il calcolo dei BSA; i risultati ottenuti con altre formule possono variare)
successivamente, si applica la formula* :
nel caso in esame, risulta: 250 · (0.795/1.73) = 114.88 mg
*Gerald, M. C., & O’Bannon, F. V. (1988). Nursing pharmacology and therapeutics. (2nd ed.). Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall Incorporated.
Il calcolo sviluppato può essere eseguito utilizzando il form sottostante che ha unicamente finalità didattiche e non dovrebbe essere usato per applicazioni mediche (per calcolare BSA si usano generalmente nomogrammi). Si consideri che non tutti i farmaci sicuri per gli adulti possono essere adattati alla diversa fisiologia del bambino; ciò vale particolarmente per i neonati.
In realtà, il significato clinico dei fenomeni di spiazzamento è stato ridimensionato e le implicazioni tossicologiche sono rare e comunque legate ad un indice terapeutico modesto. Infatti, l'aumento della quota libera può rinforzare l'effetto farmacologico, ma tale potenziamento è solo transitorio in quanto aumenta anche la quota di farmaco disponibile per il metabolismo e l'escrezione. Nella maggior parte dei casi il fenomeno è quindi di modesta entità. Però, possono manifestarsi conseguenze cliniche quando il farmaco spiazzato sia legato per più del 90% , abbia un piccolo volume di distribuzione ed un basso indice terapeutico, soprattutto poi se lo spiazzamento è associato ad un fenomeno di inibizione metabolica. In queste condizioni l'aumento della quota libera può portare alla comparsa di effetti tossici (cfr. cinetica non lineare).
Un criterio fondamentale per decidere se monitorizzare la concentrazione ematica dei farmaci richiede che vi sia una correlazione fra concentrazioni ematiche ed effetti terapeutici e/o tossici. La maggior parte dei farmaci agisce con meccanismo recettoriale e quindi gli effetti riscontrati sono proporzionali al numero di interazioni con il sito d'azione e dunque alla concentrazione di farmaco nei tessuti. Ora, poiché non è possibile determinare la concentrazione di farmaco nel sito di azione, la quantità presente nel corpo viene stimata misurando la concentrazione in uno dei liquidi biologici di perfusione: plasma, sangue, siero. Questa pratica trova il suo fondamento sul fatto che il plasma rappresenta il compartimento centrale che riceve il farmaco dal sito di somministrazione durante il processo di assorbimento e lo cede a tutti gli organi e tessuti compresi quelli deputati all'eliminazione. Quindi, se esiste una correlazione fra concentrazione tissutale di farmaco ed effetto terapeutico, questa sarà anche riferibile al tasso ematico e ciò permetterà di ottenere informazioni utili anche dal compartimento ematico.
Il monitoraggio dei livelli ematici dei farmaci è indicato in alcuni casi1:
Tuttavia, nel caso di degenza in regime non ospedaliero, l'utilità del monitoraggio è limitata dalla non immediata accessibilità dei risultati delle analisi di laboratorio; pertanto, si dovrebbe consigliare il ricovero quando sia documentata l'utilità del monitoraggio, e questo è riconducibile alla presenza di tre condizioni specifiche:
Il controllo posologico per i farmaci che verificano le citate condizioni diventa perentorio in alcune situazioni cliniche:
1Richens S.A. and Warrington S., When should plasma levels drug be monitored? Drugs 1979, 17, 488-500
In generale, il profilo farmacocinetico nel sovradosaggio può differire da quello tipico delle dosi terapeutiche. Ciò a volte dipende da fenomeni di saturazione dei sistemi preposti al metabolismo o alla escrezione. In altri casi, la cinetica è modificata da fattori quali l'acidosi, l'ipotermia, il danno epatico o renale, l'insufficienza respiratoria o cardiocircolatoria, che spesso sono presenti quali intrinseche espressioni di tossicità della sostanza.
Varie categorie di sostanze tra cui beta-bloccanti, antidepressivi triciclici, fenotiazine e il metadone, vanno incontro ad un intenso metabolismo pre-sistemico ("first-pass" intestinale e/o epatico) i cui meccanismi vengono saturati ad alte dosi. Dopo ingestione di quantità elevate dei suddetti farmaci, la frazione della dose che giunge in circolo può superare di molto quella attesa in base alla cinetica tipica del dosaggio terapeutico.
L'uso del carbone attivato (v. Tab. II), l'irrigazione intestinale e il trattamento con purganti, es. sodio solfato, sorbitolo, citrato di magnesio (Shannon et al.,1986), sono talora raccomandati negli avvelenamenti per ingestione allo scopo di limitare l'accesso dei tossici nel compartimento sistemico. Esiste altresì evidenza che il trattamento ripetuto con carbone blocca il circolo entero-epatico o entero-enterale di certe sostanze e aumenta quindi la loro clearance sistemica. Questo vale, ad esempio, per la digossina, il fenobarbitale, la teofillina, la ciclosporina, il methotrexate, il fenilbutazone, la carbamazepina e il diazepam.
I tessuti poco perfusi (muscoli, tessuto adiposo) fungono spesso da deposito delle sostanze lipofile, le quali vengono concentrate a tale livello per essere poi cedute lentamente nel distretto extracellulare. Il lento equilibrio tra i compartimenti intra- ed extracellulare è all'origine dell'effetto "reservoir" che talora si osserva quando l'eliminazione terapeutica dei tossici viene accelerata con procedure drastiche, quali la emodialisi o la emoperfusione: il trattamento comporta la progressiva diminuzione dei livelli ematici della sostanza i quali, tuttavia, tornano ad innalzarsi allorché il trattamento viene interrotto. Tale situazione è stata spesso riscontrata nella terapia emodialitica dell'intossicazione da sali di litio (Jacobsen et al. 1987).
metabolismo: il metabolismo dei composti chimici esogeni ha conseguenze che dipendono dalla attività dei metaboliti: ha significato detossicante se i metaboliti sono inattivi o meno attivi della sostanza di origine.
Si assiste invece alla comparsa o alla accentuazione della tossicità quando il composto di origine, di per sé poco attivo o inattivo, subisce un processo di attivazione metabolica.
La tossicità per attivazione ha due aspetti caratteristici:
L'attivazione farmacologica dei processi di detossicazione epatica è stata oggetto di numerosi studi in prospettiva terapeutica. Il corredo degli enzimi farmaco-metabolizzanti può essere, in effetti, aumentato mediante somministrazione di farmaci induttori, quali il fenobarbitale (è un induttore enzimatico, pertanto l'efficacia di alcuni farmaci - anticoagulanti, steroidi surrenali, antibiotici, contraccettivi orali e anticonvulsivanti come la fenitoina - può essere ridotta per accelerazione progressiva del metabolismo). Tale procedura, tuttavia, oltre ad essere non priva di effetti secondari, richiede somministrazioni ripetute nell'arco di alcuni giorni, cioè tempi troppo lunghi per essere compatibile con l'intervento d'urgenza nella intossicazione acuta. Esistono induttori meno tossici, quali i flavoni, che agiscono con rapidità in quanto attivano il corredo enzimatico pre-esistente. Non risulta, tuttavia, che tali sostanze siano state oggetto di studio in relazione a possibili impieghi in tossicologia clinica. La procedura corrente per impedire la generazione di metaboliti tossici è comunque di tipo farmacologico.
Il calcolo della emivita plasmatica rende talora possibile la stima approssimativa dei tempi necessari perché i livelli ematici della sostanza scendano nel paziente a valori sub-tossici. Tuttavia, molte sostanze presentano ad alte dosi cinetiche di eliminazione non lineari a causa della saturazione del metabolismo e/o della escrezione (Tabella I). In questi casi, il calcolo della emivita non ha alcun valore pratico se non si dispone di dati certi sulla dose totale assorbita.
Le biomembrane sono più permeabili alle sostanze non ionizzate che a quelle ionizzate. Pertanto, per le sostanze eliminate dal rene, il riassorbimento nei tubuli diminuisce quanto più il composto si presenta ionizzato nell'urina tubulare. Dato che il grado di ionizzazione degli acidi deboli aumenta se questi si trovano in ambiente alcalino e quello delle sostanze basiche aumenta nelle soluzioni acide, è possibile incrementare l'escrezione renale dei tossici acidi o basici attraverso procedure che determinano opportune variazioni del pH e del flusso urinario.
L'ingestione di tossici in quantità potenzialmente letali, la presenza di sintomi gravi, il riscontro di livelli ematici straordinariamente elevati, l'evidenza che i processi di eliminazione sono saturati, la comparsa di deficit delle vie escretrici, il progressivo deterioramento dello stato del paziente nonostante la terapia intensiva sono tutte condizioni che, in linea di principio, suggeriscono il ricorso alle misure drastiche di eliminazione terapeutica, quali l'emodialisi e l'emoperfusione. Tuttavia, è spesso difficile prevedere quali pazienti potranno trarre effettivi benefici di queste procedure anche in relazione al loro intrinseco potenziale di morbilità.
In ogni caso, il ricorso alla depurazione extracorporea è applicabile solo per le sostanze che hanno caratteristiche farmacocinetiche compatibili. Per i tossici con spiccata tendenza alla diffusione nei tessuti, forte affinità per le proteine plasmatiche e ampio volume di distribuzione, è poco probabile che l'aumento della clearance determinato dalla emodialisi o dalla emoperfusione si associ a risultati clinicamente significativi, data la modesta frazione della dose che si trova in forma libera nel circolo.
L'impiego in medicina di preparati a lento rilascio è sempre più diffuso. L'ingestione di dosi tossiche comporta particolari problemi date le peculiari caratteristiche cinetiche dei princìpi attivi di queste formulazioni. L'assorbimento è di solito più lento e prolungato ed il picco di concentrazione da accumulo viene raggiunto non prima di 24-36 ore. La tossicità si manifesta dopo un periodo di latenza più o meno lungo e le manifestazioni regrediscono piuttosto lentamente al termine della fase acuta a causa dell'assorbimento protratto della sostanza nel lume intestinale.
Nella terapia dell'avvelenamento hanno importanza la somministrazione ripetuta di carbone e l'irrigazione intestinale, da praticarsi possibilmente già alla comparsa dei primi sintomi, al fine di limitare la quantità di principio attivo che passa in circolo.
Da quanto discusso, è ovvio che l'analisi tossicocinetica costituisce una guida per affrontare con criteri scientifici i problemi diagnostici e terapeutici della tossicologia clinica. Il laboratorio chimico-tossicologico, avvalendosi di apparecchiature e tecniche analitiche sempre più sensibili, precise, selettive e veloci, grazie alla tossicocinetica può fornire indicazioni di quegli aspetti quantitativi e temporali degli avvelenamenti la cui conoscenza è importante per un intervento clinico razionale.
Purtroppo, nella pratica corrente, raramente l'analisi chimico-tossicologica viene effettuata attraverso indagini che comprendano, ove necessario, l'identificazione e il dosaggio dei metaboliti attivi. D'altra parte, solo per pochi composti si conoscono le caratteristiche farmacocinetiche in situazioni di sovradosaggio. Anche per i farmaci più noti, i dati della letteratura, per la variabilità delle condizioni sono spesso di difficile interpretazione. Per esempio, la dose o il momento della esposizione al tossico sono molte volte imprecisati; in altri casi, i prelievi per le analisi tossicologiche risultano essere stati effettuati per tempi troppo brevi o, ancóra, manca l'adeguata valutazione di patologie pre-esistenti o di altri fattori capaci di modificare la farmacocinetica.
Salicilici | Prednisolone |
Paracetamolo | Diossano |
Teofillina | Alcol etilico |
Fenitoina | Acido triclorofenossiacetico (2,4,5 T) |
Chinidina | Cloruro di vinile |
Amilobarbitone | Cloralio idrato |
Sulfametazina | Tricloroetanolo |
Tabella II. Adsorbimento dei tossici
da parte del carbone attivato "in vitro"
( modificato da Neuvonen e Olkkola, 1988.)
elevato | moderato | scarso |
Amfetamine | Aspirina | Cianuri |
Antidepressivi | Benzene | Etanolo |
Antiepilettici | Bifenili policlorurati | Ferro |
Antistaminici | Cherosene | Glicole etilenico |
Atropina | Clorpropamide | Litio |
Barbiturici | Diclorometano | Metanolo |
Benzodiazepine | DDT | Sostanze caustiche |
Chinidina | Disopiramide | |
Chinina | Fenolo | |
Cimetidina | Malathion | |
Fenotiazine | Mexiletina | |
Fenilbutazone | Paracetamolo | |
Fenilpropanolamina | Tolazamide | |
Furosemide | Tolbutamide | |
Glibenclamide | Glipzide | |
Glucosidi digitalici | Indometacina | |
Oppiacei | ||
Piroxicam | ||
Stricnina | ||
Teofillina |
tratto e modificato da http://anestit.unipa.it/esiait/1098_01.htm
Questa apertura e chiusura periodica dei fiori è legata all'interazione di un ritmo endogeno e la lunghezza del giorno (segnale luminosità/buio) ed accade che le piante siano capaci di misurare il tempo a partire dallo stimo0lo luminoso. Tuttavia, non abbiamo alcuna conoscenza dei recettori coinvolti che sono racchiusi nei fitocromi. Il processo di apertura e chiusura riguarda certamente cambiamenti nel turgore di piccoli gruppi di cellule; questi cambiamenti possono essere influenzati dalla temperatura e dall'umidità.
Durante la prima metà del 19 .mo secolo, i giardinieri provarono a costruire orologi floreali, ma con scarso successo dal momento che molte delle piante elencate da Linnaeus non fioriscono nella stessa stagione.
A questo punto, è interessante - ai fini della tecnologia farmaceutica - un seppur limitato cenno alle conoscenze sui ritmi circadiani, che cercano una qualche correlazione fra effetto di un farmaco e ora della sua somministrazione.
La somministrazione di corticosteroidi, per esempio, può essere resa più razionale se si tiene conto del fatto che le surrenali presentano il max di attività verso le prime ore del mattino.
Fondandosi su queste osservazioni, sono state sviluppati due medicinali:
Questa relatività di effetti, più che al farmaco, è dovuta all'organismo che lo riceve e al momento in cui lo riceve; al mattino, per essere espliciti, un farmaco può dimostrarsi più attivo che alla sera perché, al mattino, le funzioni dell'organismo si trovano in una fase di attività che rende l'organismo stesso più ricettivo alla sua efficacia. pertanto, la conclusione dei farmacologi clinici, è che la tempo-dipendenza dell'azione dei farmaci è non soltanto quantitativa ma anche qualitativa; in altre parole, la somministrazione dei farmaci andrà sempre riferita in futuro ai "tempi del corpo" e non al "tempo dell'ambiente", quello segnato dall'orologio.
D'altra parte, se è possibile, grazie ai dovuti accertamenti di cui si è appena parlato, modificare le terapie secondo le caratteristiche individuali dei pazienti, si sta pure dimostrando che sarà possibile manipolare i ritmi biologici del nostro corpo, in modo da ottenere una maggiore disponibilità dell'organismo nei confronti di determinate cure.
Moltissime persone sperimentano il jet lag. Per esempio, se si va in Australia non è possibile modificare immediatamente l'orologio biologico per adattarlo al diverso fuso orario in quanto la capacità di regolazione del nostro bioritmo arriva al massimo ad un’ora al giorno. Così, nel caso vi sia una differenza di otto ore, non potendo modificare più di una sola ora al giorno, sarà necessaria almeno una settimana per adattarsi al nuovo orario: fino ad allora non si riescirà a dormire bene, perché l'orologio biologico è ancóra sincronizzato sull'orario italiano.
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Marcello Guidotti, copyright 2010
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