placebo

Il placebo è definito nella letteratura scientifica come una sostanza priva di una attività farmacologica specifica, somministrata per controllo nei test clinici, oppure ad un particolare paziente per stimolarne potenziali benefici psicologici.

La realtà dell'effetto placebo è accettata da gran parte della comunità scientifica. Nelle sperimentazioni cliniche, l'efficacia di una terapia è spesso valutata utilizzando, come controllo, veicoli privi di princìpi attivi o procedure ritenute inefficaci, ed i progressi nei soggetti non trattati sono attribuiti proprio a questo ineffabile placebo.

Tuttavia, secondo un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine1, la tesi secondo cui attraverso la somministrazione di un placebo si possa ottenere un miglioramento delle condizioni di un malato non è fondata. Secondo gli autori - con l'unica eccezione delle terapie antidolore (v. avanti) - l'analisi di oltre cento studi pubblicati fra il 1946 e il 1998 non conferma l'ipotesi che esista l'ineffabile effetto: i parametri che ne dimostrerebbero l'esistenza sono sovrapponibili con quelli relativi a gruppi di pazienti che non hanno ricevuto alcun tipo di trattamento.

Secondo gli autori dell'articolo, le terapie basate sull'uso di placebo sono ritenute efficaci in molte malattie, ma la qualità delle prove che avvalorano questa ipotesi non sarebbe stata valutata in modo rigoroso. Così, sebbene svariati studi sostengano che il placebo possa migliorare i parametri (sia soggettivi, sia oggettivi) relativi ad un'ampia gamma di malattie ed in percentuali di pazienti che toccano il 30-40 per cento, c'è un ragionevole margine di diffidenza. Infatti, la maggioranza di questi studi ha valutato l'effetto placebo basandosi sulla differenza fra le condizioni iniziali dei malati e quelle registrate al termine della sperimentazione. Con questo approccio, il miglioramento dovuto al placebo non può essere distinto da quello che si verificherebbe comunque nel corso naturale della malattia.

Un successivo articolo2, osservava però che i metodi statistici utilizzati nell'analisi dei casi studiati, non erano sufficienti ad escludere un effetto placebo in tutte le condizioni esaminate. Inoltre, si sottolineava che la gravità di alcune delle condizioni esaminate potrebbe aver mascherato la presenza di un effetto placebo ridotto. Infatti, le oltre cento sperimentazioni esaminate includevano una quarantina di condizioni, fra cui ipertensione, asma, disturbi dell'umore, infezioni, malattia di Parkinson e Alzheimer, dolore, nausea, obesità ed altre.

Un'eccezione rilevante al risultato più generale è però già sottolineata dagli stessi autori, e riguarda il dolore. In tutte e 27 le sperimentazioni esaminate, volte a verificare gli effetti di una terapia antidolore, è risultato un evidente effetto palliativo dovuto al placebo. L'analisi quantitativa, in accordo con ricerche svolte in precedenza, mostra che il placebo può ridurre l'intensità del dolore anche del 35 per cento.

religione

Statistiche attendibili affermano che se la metà degli italiani consulta l'oroscopo, il 30% dichiara di crederci. Questi dati sono poco confortanti, tanto più se si considera cha la percentuale dei cattolici che frequentano settimanalmente - o almeno con una certa regolarità - la messa domenicale non appare molto superiore. L'astrologia, dunque, è una credenza diffusa, come forse tutte le superstizioni.

Quando Pierre Simon de Laplace presentò a Napoleone la sua opera Exposition du système du monde, fu biasimato dall'Imperatore con questa effremazione: «Non ho trovato nessun riferimento a Dio nella sua opera», Laplace replicò: «Sire, non ho bisogno di questa ipotesi».

La risposta di Laplace, era ed è corretta: la scienza si fonda sul metodo sperimentale, che è uniforme ed autocorrettivo. E' uniforme in quanto lo strumento di studio (il modello matematico) è formalmente lo stesso: per esempio, il tempo di semivita di un farmaco (con cinetica di ordine primo) si calcola con la stessa formula che permette di calcolare il tempo di semivita di un nuclide radioattivo. Ora, è evidente che i due fenomeni sono del tutto diversi, e quindi le formule che li descrivono potrebbero essere una mera coincidenza. D'altra parte, è certamente più semplice verificare se un'ipotesi è uniforme (la stessa equazione accomuna fenomeni diversi), piuttosto che cercarne una nuova. E in questo caso, l'ipotesi che i due fenomeni possano essere descritti con la stessa formula è corretta.
Diversamente, se i dati sperimentali non si accordano con quelli previsti dal modello, occorre sostituirlo. Così, anche il tempo di emivita biologica di un farmaco, può essere ancóra calcolato con la stessa formula; e tuttavia, in questo caso, il calcolo generalmente non si accorda con il risultato sperimentale. Ed ecco che entra in gioco il metodo autocorrettivo: è la legge che è sbagliata, oppure l'abbiamo applicata in una situazione in cui non può essere applicata?

In conclusione, è proprio la combinazione dell'uniformità del metodo scientifico, unita all'autocorrezione che ci permette di aumentare la nostra conoscenza.

nuvola antropomorfaAl contrario, se facessimo ricorso ad ipotesi trascendenti: per esempio supponendo che i fulmini siano saette incandescenti scagliate da Zeus (Greci), Giove (Romani), Baal Melkart (Fenici), Thor (Vichinghi), Aplu (Etruschi), Bel (Sumeri), ne ricaveremmo una spiegazione insoddisfacente. Certo, ci sarebbe in qualche modo di conforto sapere che la nostra spiegazione è stata condivisa da culture anche molto differenti, ma questo argomento del consenso collettivo (per citare Isaac Asimov), non comporta che la spiegazione rappresenti la realtà. Dopotutto, milioni di persone hanno creduto che la terra fosse piatta, ma ciò non è stato sufficiente per farla appiattire. Nemmeno di un millimetro! Dunque, abbiamo anche qui un'uniformità di metodo (animistico), ma manca l'autocorrezione (la verifica sperimentale).

Per comprendere l'importanza del metodo sperimentale, si considerino le seguenti tre affermazioni: a) tutti i medicinali curano qualche disturbo; b) questo medicinale cura questo disturbo; c) questo medicinale cura qualche disturbo.
Di queste affermazioni solo quella alla lettera b) possiede contenuto empirico, ovverosia può essere falsificata ricorrendo alla verifica sperimentale; le altre due, non possono mai essere falsificate in quanto si può sempre sostenere che non sono state controllate per tutti i disturbi possibili (operazione peraltro impossibile). E' evidente, pertanto, che le affermazioni alle lettere a) e c) sono prive di contenuto empirico e non possono essere considerate come aventi carettere di scientificità.

E' un fatto incontestabile che quattrocento anni di metodo galileiano, basato sulla sperimentazione, hanno prodotto più risultati dei precedenti duemila anni di metodo aristotelico, basato sulla premessa e sulla deduzione.

Questa breve digressione, ha lo scopo di porre l'accento sulle cosiddette guarigioni miracolose. A parte i numerosi casi dichiarati ma non sufficientemente dimostrati, sembra ormai sicuro che in talune gravi patologie (compresi i tumori) siano stati accertati casi di remissioni spontanee, sia pure con incidenze statistiche bassissime.
I mass media riferiscono spesso di guarigioni miracolose che risulterebbero inspiegabili di fronte alla scienza. D'altra parte, l'aggettivo "inspiegabile" è fuorviante: sostenere che una certo accadimento è inspiegabile non implica che lo sarà anche in futuro. Di conseguenza l'uso di tale aggettivo, isolato da un appropriato contesto, è per lo meno imprudente.
Attribuire interventi miracolosi a queste guarigioni, potrebbe certo essere di conforto per diminuire il senso di abbandono o d'impotenza, ma la sua accettazione indiscriminata, si tradurrebbe nell'interruzione delle ricerche di cause razionali. Ovviamente, molti casi di remissione spontanea non sono ancóra interpretabili con le attuali conoscenze. Tuttavia, questa è una limitazione non per definizione, ma per difficoltà sperimentale. Per esempio, sappiamo che in un tempo di dimezzamento, il 50% delle molecole di un nuclide decadono; ma non sappiamo quali saranno. Sebbene la scienza ortodossa ci dica che non potremo mai saperlo, resta il dubbio che possa essere qualche elemento che fa sì che un atomo decada piuttosto che un altro. Anche qui, è ovvio che un atteggiamento di accettazione non produce nuova conoscenza.

Comunque, è importante ricordare che, a volte, le scoperte si fanno anche per caso. Però, occorre cogliere l'occasione. Per esempio, tradizioni popolari raccontano che agli inizi del XVII secolo, un indio peruviano, in preda a una fortissima febbre malarica, cercava di raggiungere il proprio villaggio attraversando un'impervia regione andina. Le forze lo stavano abbandonando e l'arsura appesantiva dolorosamente il suo passo. La morte sembrava prossima, quando trovò una pozza d'acqua. Si laciò cadere carponi per bere, ma si accorse che nell'acqua c'era un grosso ramo di un albero, chiamato dagli indios quina-quina e ritenuto velenoso. L'indio, nonostante il pericolo di avvelenarsi, scelse di bere... tanto ormai non aveva più niente da perdere. Bevendo sentì un gusto amarognolo dell'acqua, dovuto appunto alla pianta che marcendo nella pozza rilasciava ciò che conosciamo oggi come chinino. Poi, stremato dalla fatica, svenne. Al risveglio, certamente si meravigliò nel sentirsi tornare le forze. La febbre era scomparsa e così potè tornare al proprio villaggio, dove raccontò le magiche virtù di quell'acqua. La notizia arrivò alle orecchie dei gesuiti di Lima, che decisero di sfruttare la scoperta dell'indio, appropriandosene. E non pensarono certo ad un'acqua miracolosa...

osservazioneLe statistiche dimostrano che non vi è alcuna correlazione tra l'incidenza delle remissioni spontanee e l'appartenenza ad una certa confessione religiosa, la visita a luoghi ritenuti sacri o l'intervento di immagini o persone alle quali i credenti attribuiscono un particolare potere. Di conseguenza l'ipotesi dell'intervento soprannaturale appare piuttosto debole e gratuita. Né appaiono statisticamente significative le differenza nelle percentuali di remissioni spontanee fra credenti e non credenti.

Di fronte alle remissioni spontanee la scienza non dispone attualmente di una spiegazione adeguata, ma questo non significa che neppure in futuro la troverà. Anzi quella delle remissioni spontanee rappresenta una grande sfida che potrà portare la scienza a notevoli progressi. Nel momento in cui si comprendessero le cause che portano ad esempio un tumore a regredire spontaneamente, probabilmente si riuscirebbe anche a trovare una terapia adeguata. Al contrario, coloro che si limitano a sostenere la spiegazione miracolosa danno sicuramente scarsi contributi al benessere della collettività. Le ipotesi più plausibili che la scienza medica formula a proposito delle remissioni spontanee sono legate al funzionamento del sistema immunitario. E a dispetto degli enormi progressi fatti in questo campo, i processi che regolano le nostre difese immunitarie sono ancóra in larga misura sconosciuti. In particolare, sono in gran parte avvolte nel mistero le relazioni che intercorrono tra il sistema immunitario e le condizioni psico-emotive3. Che tali relazioni siano una realtà è oramai dimostrato al di là di ogni dubbio. La dimostrazione più convincente della loro esistenza si ha nel cosiddetto effetto placebo4.

controllare l'effetto placebo

Per una parte della comunità scientifica, l’effetto placebo resta ancóra un fenomeno privo di qualsiasi potenziale terapeutico, o un fastidioso rumore di fondo che interferisce nelle prove di efficacia cliniche.

Il placebo si dimostra più evidente nei casi in cui la componente psicologica è preponderante, e chi studia il placebo è consapevole che sta analizzando le influenze di diversi fattori psicologici su moltissimi parametri biologici. Per disturbi come l’ipertensione, la depressione o la terapia del dolore, in cui i fattori psicologici hanno un ruolo rilevante, si hanno risposte positive al placebo che superano il 50 per cento. Per contro, ad es., nel diabete, l’effetto placebo è scarsissimo e quasi inesistente.

osservazioneAttribuire l'effetto placebo alla psicologia è un'ipotesi ragionevole, ma in ossequio al metodo scientifico, occorre chiarire i processi che vengono coinvolti nell’organismo.

Uno studio5, pubblicato nel 1999, ha dimostrato che l’azione analgesica da placebo è strettamente legata alla risposta fisiologica alle endorfine.
In questo studio, i ricercatori hanno esaminato la reazione al dolore in due gruppi di volontari: il primo trattato con morfina, e il secondo trattato, a sua insaputa, con una semplice soluzione salina. Quest’ultimo gruppo rispondeva allo stimolo dolorifico come se prendesse la morfina. Nella seconda parte dell’esperimento, nella soluzione somministrata ai volontari è stato introdotto naloxone, una sostanza capace di bloccare i recettori per gli oppioidi endogeni. In questo modo l’effetto placebo è improvvisamente scomparso, confermando una relazione diretta tra endorfine e risposta al placebo.

Negli uomini, l’obiettivo è sviluppare protocolli di condizionamento psicologico che attivino i meccanismi responsabili della risposta al placebo, al fine di aumentare l’effetto del farmaco.

Si ritiene, per esempio, confortati dallo studio sulle endorfine, che nella terapia del dolore si possa diminuire anche del 50% la quantità di morfina somministrata, somministrando al paziente, alternativamente, il farmaco ed un placebo. Anche se le prospettive sono molto ampie, parte della comunità scientifica resta scettica, perché ritiene poco sicuro sviluppare protocolli comuni, che funzionino in contesti culturali e sociali diversi.

Il placebo, oltre a medici, psicologi e antropologi riguarda anche specialisti di medicina non convenzionale, i cui fondamenti teorico-filosofici, sono più realisticamente di natura psicologica, basti ricordare l'influenza dei colori: è stato dimostrato che le pillole rosse hanno un effetto eccitante (e quindi che un placebo di colore rosso funziona poco), mentre quelle blu sono universalmente associate a un effetto calmante. Oltre al colore, perfino le dimensioni, la formulazione tecnologica ed il nome delle preparazioni farmaceutiche possono essere associati alla manifestazione di effetti non specifici. Ancóra a proposito di colori, è stato osservato che il rosso, l'arancio e il giallo possono essere associati ad effetti stimolanti; il blu ed il verde ad effetti sedativi.
Riprendendo gli effetti benefici della fede, non si può escludere che un'immagine sacra o una figura misticheggiante possa contribuire a focalizzare la remissione spontanea di certe patologie. D'altra parte, non si può negare che un'analogo effetto placebo, possa essere indotto dalla volontà di guarire, particolarmente se si è convinti di essere in "buone mani".

effetti collaterali inaspettati

I pazienti che assumono medicinali continuativamente o con elevata frequenza, a volte lamentano effetti avversi cosiddetti non specifici, non attribuibili cioè a specifiche e riconosciute controindicazioni o effetti collaterali del farmaco. Questi effetti non specifici, di tipo prevalentemente idiosincratico e non correlabili alla dose assunta, sono fonte di notevole disagio per i pazienti, vanno spesso a complicare il quadro sindromico e possono tradursi in una scarsa adesione agli schemi terapeutici suggeriti, o indurre il medico ad interrompere un trattamento che potrebbe essere appropriato ed efficace.
In una rassegna pubblicata in febbraio (JAMA 2002;287:2502) alcuni autori americani hanno preso in esame questo fenomeno spesso sottovalutato cercando di analizzarne soprattutto la natura, i fattori associati e le implicazioni cliniche.
Per meglio comprendere questi effetti è importante ricordare che la somministrazione di un placebo, è associata oltre ad "effetti terapeutici" anche ad "effetti avversi" (effetto nocebo) in un'alta percentuale (circa il 25%) dei soggetti che partecipano agli studi clinici controllati. In alcuni casi addirittura l’incidenza degli effetti terapeutici o tossici del placebo può essere superiore a quella del farmaco considerato attivo.


osservazioneI soggetti più a rischio sono i pazienti ansiosi, depressi e tendenti alla somatizzazione.
Dal punto di vista clinico, è quindi importante per il medico curante non associare automaticamente gli eventuali disturbi riferiti dal paziente all’attività farmacologica dei medicinali prescritti e valutare con cautela eventuali modifiche del dosaggio o del principio attivo.


Gran parte degli effetti avversi non specifici sono di natura generalizzata e diffusa e comprendono sonnolenza, nausea, fatica, insonnia e mal di testa. I fattori associati a questi effetti sono in parte legati ad una aspettativa negativa da parte di chi riceve il farmaco, che può essere condizionato dal tipo e modalità d'informazioni ricevute, dal contesto in cui avviene la prescrizione del farmaco, dal rapporto medico-paziente, o da precedenti esperienze negative.
In particolare, il sospetto di effetti avversi non specifici può insorgere qualora i sintomi riferiti dal paziente siano vaghi o presenti nel'arco dell'intera giornata; quando il paziente presenti una storia di effetti avversi con diverse classi di farmaci; quando il paziente si presenti molto ansioso o si aspetti comunque problemi derivanti dall'assunzione delle medicine.
Qualora questi effetti avversi non specifici vengano riconosciuti può essere utile discuterne con il paziente per aiutarlo a darne una corretta attribuzione e assicurarsi che non derivino in parte da un senso generico di sfiducia e insoddisfazione nei confronti dell’assistenza medica ricevuta. Inoltre, poiché spesso i pazienti riferiscono gli eventuali effetti avversi dei farmaci al personale infermieristico o al farmacista è importante che anche questo personale sanitario sia a conoscenza delle problematiche relative agli effetti non specifici dei farmaci, in modo da poter fornire al paziente le corrette informazioni e spiegazioni in merito e le eventuali rassicurazioni circa l’assunzione dei farmaci prescritti.

psicologia, placebo ed etica

Il fisiologo russo Pavlov (1849-1936, noto per le sue ricerche sul riflesso della salivazione, per le quali ottenne il premio Nobel), si era accorto che al solo rumore della ciotole posate sul pavimento prima della distribuzione del cibo, i cani producevano saliva anche se il cibo era fuori della portata della loro vista e del loro olfatto.
Ricreate ripetutamente condizioni simili in laboratorio, Pavlov dimostrò la possibilità di trasformare un riflesso naturale (la salivazione in presenza di cibo) in riflesso condizionato (la salivazione in risposta al rumore della ciotola posata sul pavimento, o anche in risposta al suono di un campanello che preceda ogni volta la distribuzione del cibo).

cane che schiva un'ape
anche un'ape può indurre un riflesso condizionato: è sufficiente il ronzio.
Pavlov definì "riflesso condizionato" la salivazione indotta dallo stimolo, il campanello, e chiamò "rinforzo" il cibo. Infatti, con i suoi esperimenti, dimostrò come alla base di questo comportamento (salivazione al suono del campanello) vi fosse un'associazione tra lo stimolo naturale e quello condizionato: era sufficiente eliminare il rinforzo (cibo), perché l'effetto dello stimolo condizionato si estinguesse dopo qualche prova.
E' anche possibile condizionare un animale facendo ricorso ad un rinforzo negativo o punizione; questo accade, ad esempio, quando un cane impara a ritrarre la zampa al suono di un fischetto, perché altrimenti riceverebbe una leggera scossa elettrica. L'apprendimento per condizionamento pavloviano o "classico" non si verifica solo nel mondo animale, ma anche in quello umano.

Il cane di Pavlov, condizionato a salivare al suono del campanello (al quale da un certo punto in poi non seguirà più il cibo), è un cane ingannato. Il suo sistema primario di segnali neuronali che ricevono e analizzano gli stimoli provenienti dall'ambiente, reagisce al suono del campanello come se si trattasse di cibo: crede (erroneamente) ad una relazione necessaria di causa-effetto, e risponde di conseguenza.

Una delle plausibili spiegazioni dell'effetto placebo, è che si tratti di un riflesso condizionato involontario per cui, una volta instauratasi nel cervello animale o umano una particolare aspettativa, possono derivarne conseguenze assai strane... i cani iniziano a salivare al suono di un campanello; gli uomini in riposta all'assunzione di un preparato inerte possono guariscono da qualche manifestazione patologica.

Pavlov riprodusse sperimentalmente uno degli infiniti inganni della vita, per cui credere che "..." attiva in ognuno di noi comportamenti e reazioni (osservabili e non) che strutturano ogni nostra relazione e segnano in qualche modo la storia della nostra esistenza. Dunque anche credere (oppure no) che si possa guarire può avere un effetto, al punto che anche un inganno può produrre un risultato positivo.

Questa "terapia" indotta da suggestione, è invocata nel caso di certe guarigioni cosiddette miracolose, inspiegabili alla luce di certe conoscenze scientifiche ecc. In effetti, cosa è accaduto a quell'organismo - umano o animale, non importa - in cui si è verificato quello che alla luce di altre conoscenze e convinzioni non sarebbe dovuto accadere: se quel malato che non poteva guarire è invece guarito, c'è da pensare che non avesse la malattia che si credeva che avesse, oppure si è trattato di un inganno dovuto ad un errore diagnostico?

Per il cane ingannato da Pavlov non c'era alcun prelibato boccone. Eppure, per un certo numero di prove, continuava a salivare al semplice suono di un campanello. Così, un profano che non fosse stato a conoscenza di quell'esperimento, una volta scartato che si trattasse di un caso, avrebbe potuto pensare ad un disturbo derivante da qualche malattia. E se quel profano avesse voluto curare almeno il disturbo, non potendo risalire alla causa dalla stessa, avrebbe rischiato di fare al cane più male di quanto non gli facesse il fatto di produrre tanta saliva inutilmente.

Invece, in mancanza del "rinforzo", sarebbe stato sufficiente lasciare passare il tempo, aspettare l'estinzione di quella risposta secretoria e il cane sarebbe guarito da sé. Ma... da una vera malattia o soltanto da un inganno?

osservazioneL'effetto placebo, che può agire solo su soggetti coscienti, quindi è assente nel caso di persona in coma o anestetizzata, interessa anche la medicina omeopatica. In questo stesso sito, potete trovare un articolo tratto dalla Scuola di Medicina Omeopatica di Verona. Sempre in questo sito, potete trovare una breve discussione sulle diluizioni omeopatiche.

1Asbjorn Hrobjartsson, M.D., and Peter C. Gotzsche, M.D. - Is the Placebo Powerless? An Analysis of Clinical Trials Comparing Placebo with No Treatment (New England Journal of Medicine; Volume 344:1594-1602 May 24, 2001 Number 21)
2Hrobjartsson and Gotzsche - Anxiety at the Frontier of Molecular Medicine Is the Placebo Powerless? An Analysis of Clinical Trials Comparing Placebo with No Treatment (N Engl J Med 344 (21) 1594-1602 May 24, 2001).
3 E. Sternberg e P. Gold, "Il corpo, la mente e la malattia", in "I Farmaci: dalla natura alle biotecnologie", Le Scienze Quaderni, n. 102, Milano 1998.
4 W.A Brown, "L'effetto placebo", Le Scienze n. 355, Milano 1998.
5F. Benedetti, C. Arduino, and M. AmanzioSomatotopic Activation of Opioid Systems by Target-Directed Expectations of Analgesia (The Journal of Neuroscience, May 1, 1999, 19(9):3639-3648)

sperimentazione in doppio cieco

dottore che si stupisceCome abbiamo discusso, l'effetto placebo consiste nel fatto che una sostanza inerte può essere considerata dal malato come un farmaco in grado di guarirlo, producendo una situazione psicologicamente favorevole al miglioramento delle sue condizioni. Questo è vero almeno per tutte le patologie che non hanno un andamento acutissimo e molto grave.

Se si vuole stabilire una relazione causale ragionevolmente sicura, è necessario controllare l'effetto placebo. Uno dei metodi utilizzati è la sperimentazione in doppio cieco.

Supponiamo che di voler provare l'efficacia di una certa bevanda reidratante X. La procedura più semplice prevede questa esperienza:

1) si somministra X a 20 atleti; se questi sanno che il prodotto che assumono è un prodotto che dovrebbe aumentarli nelle loro prestazioni, saranno più motivati a sopportare la fatica e la prestazione potrebbe migliorare solo perché sono convinti che con X possono ottenere una prestazione migliore.

per poter valutare l'effetto suggestione si adotta un'accortezza:

2) si divide il gruppo di 20 atleti in due gruppi e si somministra a 10 di loro X, mentre agli altri 10 si somministra un placebo, per quanto possibile indistinguibile da X per il gusto). Pertanto i 20 atleti non sanno se hanno assunto X o il placebo. A questo punto si valuta se esistono differenze di comportamento fra il gruppo che ha assunto il ricostituente e quello che ha assunto il placebo.

la metodica descritta non è esente da errori in quanto potrebbe darsi che lo sperimentatore non sia obiettivo durante la sua valutazione: conoscendo gli atleti che hanno preso il ricostituente. Per esempio quando si tratta di valutare un dato non oggettivo (numerico), ma piuttosto con concetti sfumati, come "recupera meglio", "si sente meno stanco" ecc.

3) se anche lo sperimentatore non è a conoscenza di chi ha assunto X e chi il placebo, la sua valutazione, anche basata su criteri non oggettivi, sarà più imparziale.

osservazione
Doppio cieco significa che sia l'atleta sia lo sperimentatore sono "ciechi", cioè non conoscono se il campione che viene studiato è l'integratore o il placebo del tutto ininfluente. In tal modo si dovrebbe avere un giudizio oggettivo.


farmacodinamica1 potenza, efficacia e biodisponibilità2 principi base della farmacologia3 teoria dei recettori4 5 fattori determinanti le modificazioni nella farmacocinetica6 bioequivalenza dei generici7 studio di una terapia antibiotica8
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